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Votes given by jonny95

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    The Tree of Life (2011) Terrence Malick
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    momento-peter-griffin


    Ci sarà anche Florence Welch in questo film :m21: Insieme ad altri cantanti e musicisti.

    Esce negli USA il 17 marzo...dai jonny, mal che vada lo recuperiamo online.

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    Shame (2011) Steve McQueen
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    Il lato positivo
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    Fotogrammi - 08. Blu


    Velluto blu, David Lynch
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    Vita di Pi, Ang Lee
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    La vita di Adele, Abdellatif Kechiche
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    Blade runner, Ridley Scott
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    Aladdin, Ron Clements e John Musker
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    Jackie Brown, Quentin Tarantino
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    Top gun, Tony Scott
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    Mulholland drive, David Lynch
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    Solo dio perdona, Nicolas Winding Refn
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    Shame, Steve McQueen
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    Velluto Blu di Lynch
    Dennis Hopper nei panni di Frank Booth è pazzesco
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    Pulp Fiction, gli altri fanno schifo
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    Rispolveriamo un po' questo topic :shifty:

    Anche io insieme ad altri, come ho il piacere di leggere qui dentro, ho "incontrato" Truffaut sul punto di approfondire il maestro del brivido grazie a Il cinema secondo Hitchcock che credo lo abbiano letto un po' tutti i cinefili che hanno voluto riscoprire gli sprazzi di un immenso genio tecnico quale era Alfred Hitchcock. Il libro di Truffaut è molto più di un'intervista, a volte dalle lunghissime domande di François traspare una passione folgorante e una conoscenza enciclopedica, rispettivamente per l'arte del cinema e per i film del grande maestro. Su youtube potete trovare una delle ultime apparizioni di Truffaut in cui in uno studio televisivo francese parla di Hitchcock, Polanski e Mastroianni lo stanno a sentire con aria quasi mistica. *-*
    Come regista ho soprattutto ammirato quello del primo periodo; rivoluzionario al punto giusto (meno di Godard mi dicono), ma abbastanza da far rinascere insieme ai suoi amici del Cahiers du Cinema il cinema francese, stravolgendone i canoni inventando un nuovo stile che per tematiche sociologiche e artistiche rappresenta l'intermezzo ideale tra i neorealismo italiano e la nuova hollywood.
    A partire da I quattrocenti colpi, struggente impianto realista sull'educazione genitoriale e la formazione francese di quegli anni, la sensibilità con cui Truffaut ne parla, da spauracchio della media borghesia, è fenomenale. Esordire con un film del genere vuol dire farlo con la stessa forza di come a loro tempo fecero Rapina a mano armata oppure Quarto Potere. Semplicemente meraviglioso. Senza contare l'amore che Truffaut nutriva per la letteratura, attraverso la quale erigeva le pareti del suo piccolo grande mondo durante un infanzia difficile, amore che trasuda in ogni inquadratura di Fahrenheit 451, tratto dal celebre romanzo di Bradbury, quello che ne è venuto fuori è un capolavoro cinematografico crepuscolare sull'anticonformismo, che annienta con una tale forza il determinismo tecnologico omaggiando la cultura classica e umanistica che solo i libri possono tramandare.
    Il film a cui probabilmente devo di più, quello che mi ha fatto pensare di più, anche con un certa nostalgia è Jules e Jim, primo di una lunga serie di film sull'amour fou, questo è quello che per originalità, potenza visiva e abilità nell'inquadrare tematiche sociali importarti fa capo a tutti, a livello mondiale. Capace di scardinari i canoni morali di un certo tipo di cinema e di una certa realtà, Truffaut compie un elogio stavolta non più a Hitchcock come aveva già fatto in Tirate sul pianista e Fahrenheit 451 ma ad un autore letterario francese prima di allora passato inosservato, Henri Pierre Rochè, per cui il regista spenderà parole, paroloni manifeste di grande dedizione all'anziano scrittore, arrivando a dedicargli il primo piano di una sua foto in uno dei suoi film più complessi, La camera verde.
    Particolarmente votato al melodramma romantico, al mènage à trois (vecchio volpone), spiccano nella sua opera numerosi lavori alla Jules e Jim che fanno il verso a Jean Renoir ancor più che a Sir Alfred, di storie del passato le cui trame calzano perfettamente nell'attualità moderna che egli viveva, per lo più film in costume come Le due inglesi, Adele H e L'ultimo metrò, quest'ultimo, capolavoro della maturità che dopo i fasti di Effetto Notte (premiatissimo film per cinefili che mostra la lavorazione di un film), restituisce una certa gloria al teatro in un periodo storico come quello della seconda guerra mondiale, con un coppia d'oro che vede protagonisti Catherine Deneuve e Gerard Depardieu.
    Per parlare dignitosamente delle attrici lanciate da Truffaut bisognerebbe aprire un topic apposta, tuttavia temo di essermi già dilungato troppo ma mi auguro che il messaggio sia trapelato, e cioè di consigliarvi doverosamente di appronfondire questo genio del XX secolo, anche solo per diventare persone migliori, oltre che rispettabili cinefili.

    Edited by Paranoyd - 29/12/2016, 16:21
  9. .
    Che bello, voglio partecipare anche io al flame!
    In realtà la questione del remake non mi tocca direttamente perché non sono un fan sfegatato di Blade Runner. Sì ok carino, ma non lo metterei mai nella mia lista dei film preferiti.
    Però, se lo fosse, penso proprio che farei l'intollerante pure io. I remake fanno sempre schifo, è una legge della natura. Fanno schifo sia dal punto di vista più strettamente filmico, che da quello "ideologico": non ho mai sopportato il fatto che si rispolverino vecchie opere solo perché non si hanno idee nuove.
    D'altronde Hollywood ha finito le idee tipo quarant'anni fa, quindi non hanno altro modo per fare soldi.
    Anche il discorso sugli effetti speciali è ridicolo. Il più delle volte sono solo specchietti per gli allodole, per distogliere l'attenzione dello spettatore dal fatto che a livello di trama, regia e altre cose più serie il livello è bassissimo. Chi se ne frega se questo Blade Runner avrà effetti speciali migliori. Con qualche milione di dollari a disposizione tutti sono capaci di fare gli effetti speciali fighissimi.

    E comunque il film di fantascienza definitivo è Sul globo d'argento di Żuławski, sappiatelo.
  10. .
    Ho concluso proprio ieri la serie fiondandomi sugli ultimi 3 episodi, divorati in una sola sera.
    Non sono un appassionato della serialità, di qualsivoglia tipologia... le cose a puntate generalmente mi arrecano noia e un senso di interminabilità che nemmeno i film più pallosi di Antonioni riescono ad incutere.
    The Young Pope per me ha rappresentato infatti un'eccezione di cui possono fregiarsi pochissime altre serie; Gomorra e Prison Break tra le altre.
    Il nostro Paolo Sorrentino racconta la storia di Lenny Belardo, un giovane papa nordamericano immaginario che ha scelto di farsi chiamare Pio XIII, abbandonato dai propri genitori da bambino, è stato allevato da Suor Mary, una maestosa Diane Keaton che incarna i più alti valori di maternità e cristianità, oltre che un talento sagace per la pallacanestro.
    Pio XIII è naturalmente Jude Law, talvolta acclamato come un santo, sovente viene accostato a Gesù Cristo benchè la bellezza celi una personalità a tratti diabolica, rivoluzionario e dispotico, manipolatore incontrollabile e irricattabile e sempre in lotta tra la fede e il non credere.
    Un po' Cristo e un po' Anticristo, Lenny si porta dietro il trauma dell'abbandono, che lo affligge relegandolo in uno stato di chiusura e incomunicabilità con i fedeli, amareggiati e delusi per le sue drastiche riforme che si sommano alla suo non-presenza durante i riti vaticani, sempre e comunque celebrati nella più mesta riservatezza, senza nè apparire al pubblico, nè concedere nulla ai giornalisti.
    Il vaticano (ri)creato da Sorrentino è un regno paradisiaco animato da cardinali che sono fumatori accaniti o camerati troppo accaniti di potere, o tutte e due le cose; suore che giocano a pallone e svolgono le loro mansioni avvolte da un' aura celestiale; canguri che saltano qua e là per giardini sterminati il cui ordine è garantito da guardie svizzere salde con rigore ai loro posti.
    C'è molto di autoriale in The Young Pope, di autobiografico intimista, di elementi tipici del cinema sorrentiniano che chi apprezza sicuramente non avrà difficoltà a riconoscere; il protagonita orfano, la figura della suora che si rifà a ciò che la sorella del regista ha rappresentato per lui, la passione per la musica che rende il Papa un amante dei Daft Punk e quella per il Napoli, che contiene rimandi in tutti i film del regista partenopeo ma che trova in questa serie quello più esplicito nel cardinale tifoso Voiello (uno straordinario Silvio Orlando). Innumerevoli anche le citazioni letterarie che qui si sommano a quelle teologiche, da Salinger (che secondo il papa è lo scrittore più influente proprio per il modo con cui avrebbe preservato la sua vita privata) a Sant'Agostino.
    Dialoghi di altissimo livello, continua ricerca dell'estetica estatica, una serie di situazioni che oscillano tra il mistico e il grottesco fanno di questa prima stagione una mosca bianca tra le serie TV, un'opera che riesce ad assottigliare il divario tra i limiti della televisione e quelli del cinema vero, che punta il dito senza accusare, che mette "sull'altare" l'individuo, dove invece regna una patina di infallibilità che non può permettersi di lasciar spazio all'ombra del dubbio.
    Se potessi scegliere, preferirei che il vaticano sia quello di The Young Pope, ma nessuno può dirmi con certezza che già non lo sia.

    Voto 8
  11. .
    Il titolo di questa discussione fa il verso all'ormai celebre giuoco che la nostra Sidney e la sua capacità inventiva hanno partorito dopo un travaglio che si è consumato anni or sono, sia in chat che nell'area staff.
    Il 2016 anno solare, e diciamo anche cinefilo, sta volgendo al termine e colgo l'occasione con questa discussione per chiedere all'utenza del forum la conoscenza di quale regista, quale attore o attrice vorreste approfondire nell'anno che verrà, se come me avete in mente una scaletta da seguire schematicamente o lasciate che sia il caso a decidere su quali film vi orienterete. Il quesito è valido anche per le Serie TV.

    Per me ad esempio, il 2016 è stato l'anno in cui ho terminato le filmografie di Hitchcock, Tarkovskij, Orson Welles ed ora sto chiudendo in bellezza con Truffaut.
    Inoltre dopo aver visto tutti i film di Sorrentino ho iniziato a guardare la serie The Young Pope su cui mi esprimerò meglio in merito appena avrò visto tutte le puntate.
    Il prossimo anno vorrei riprendere a pieno regime col cinema italiano integrando la filmografia di Pasolini con la sua attività letteraria, che ambisco a completare.
    A voi la parola.
  12. .
    Chance (Peter Sellers) è il giardiniere della tenuta di un ricco uomo. Intuiamo ben presto che ha vissuto tutta la sua vita in quella dimora, senza mai mettere piede fuori, con l'unica compagnia della televisione e di una cameriera. Ormai Chance è anziano, e un giorno il proprietario della casa muore. Il che, tra l'altro, non scuote molto l'impassibile (o "imbecille"?) giardiniere. Chance è costretto ad andarsene ma non ha alcuna esperienza del mondo esterno, non sa come muoversi, è sostanzialmente un analfabeta, ci appare sempre più come un ritardato, per dirla in termini brutali, o come un bambino che non è mai cresciuto, per i più sensibili. Mentre vaga senza meta per la città viene investito dall'auto di una ricca signora, Eve Rand (Shirley MacLaine), che impietosita lo porta a casa sua. Al momento di presentarsi, "Chance the gardener" viene misinterpretato da Eve come "Chauncey Gardiner" (non ho idea di come abbiano reso questo passaggio nella versione doppiata, per fortuna l'ho visto originale) e da quel momento in poi è un succedersi di fraintendimenti ed equivoci che, in una rapida escalation, porteranno Chance/Chauncey persino ad influenzare il presidente degli Stati Uniti e ad attirare l'attenzione di CIA ed FBI.
    Oltre il giardino è una classica commedia degli equivoci, ma girata ed interpretata con gran classe a differenza di molte altre pellicole dello stesso genere: sottile arguzia, ironia dei dialoghi ed eleganza nel cogliere minime sfumature di volti e voci la contraddistinguono. E poi Peter Sellers ovviamente è il mattatore, tutto ruota attorno a lui e la sua performarce è perfetta: una pacatezza e compostezza estrema, un fine humour tipicamente anglosassone, un disarmante candore, una maschera facciale che già da sola porta a sorridere.
    Chance sembra quasi essere la prova vivente della veridicità del motto orwelliano "l'ignoranza è forza": il fatto che sia analfabeta, che non conosca nulla del mondo tranne il giardinaggio, che non sappia relazionarsi "normalmente" con le persone, non rappresenta per lui un handicap, anzi, le sue banali frasi sul giardinaggio vengono scambiate, da persone colte e importanti, per profonde metafore degne di un grande filosofo/economista e nel frattempo lui continua a vivere tranquillo, senza problemi o dolori, benvoluto da chi lo circonda, benedetto dalla sua ignoranza.
    Nessuno capisce che in realtà Chance è un guscio vuoto, "oltre il giardino" non c'è nulla, il suo sguardo si anima solo quando s'impadronisce di un telecomando. Appare compassato, educato e gentile, ma in realtà è un manichino lobotomizzato che magari quarant'anni fa faceva ridere, oggi invece è piuttosto inquietante e realistico. Un'arguta satira dell'America e della televisione, che crea idioti e poi contribuisce a renderli famosi ed a porli ai vertici delle Nazioni. Ed era solo il 1979. Chissà cosa penserebbe oggi Hal Ashby, che tra l'altro è autore di una regia tranquilla e discreta, efficace, che va subito al sodo senza virtuosismi e presunzione, seguendo passo passo Peter Sellers con naturalezza. Il film inoltre è arricchito da una bella colonna sonora che spazia tra diversi brani di musica classica, tra cui il celebre Così parlò Zarathustra di Strauss.
    Ma in Oltre il giardino ci si possono vedere pure diversi riferimenti religiosi e spirituali: il ruolo chiave del giardino, ovviamente; il personaggio interpretato da Shirley MacLaine chiamato Eve; il fatto che Chance parli e insegni a chi lo circonda con un linguaggio semplice e (scambiato per) metaforico, come le parabole dei vangeli; la frase del marito di Eve "Fammi sentire la tua forza" rivolta a Chance e, ultimo ma non meno importante, la scena finale nella quale Chance cammina sulle acque di un laghetto in giardino.
    In definitiva è un bel film, una commedia amara per certi versi in anticipo sui tempi, ben girata e ben interpretata.
    8/10
  13. .
    Il cigno nero per me è l'unico che merita il titolo di miglior film tra questi
  14. .
    Dallas Buyers Club (2013) Jean-Marc Vallée
  15. .


    nico - these days
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