| "Messico 1867. Al seguito di Massimiliano D'Asburgo sono sbarcate le truppe francesi di Napoleone III. Ferve cruente la guerra tra i francesi oppressori e le bande partigiane, liberatrici di Benito Juarez, eroe messicano. Il caos di questa guerra porta con sé avventurieri d'ogni tipo: trafficanti d'armi, biscazzieri, spie, contrabbandieri..."
In questo contesto di ribellione è ambientato il western italiano Giarrettiera colt, film del 1967 diretto da un semi sconosciuto (per meriti suoi) Gian Rocco e prodotto dalla "Columbus Cinematografica", nata ad hoc ma fallita profeticamente dopo questo unico film prodotto, pur avendo in cantiere diversi progetti certamente interessanti ma che, ahimé, non vedremo mai.
Il film si apre con una scena che, a chi ha orecchie (e occhio) per intendere, potrebbe già dir tutto su questo film: un'esecuzione capitale degli uomini del Juarez, comandati dal Generale delle "truppe", interpretato da Walter Barnes, ai danni di alcuni soldati francesi. Due di questi riescono a scappare e a raggiungere il confine con il Texas; lì chiedono un passaggio a una diligenza che, però, verrà attaccata dal terribile bandito chiamato "Il Rosso" per la ridicola capigliatura, che altri non è che il fratello del ben più noto Gian Maria Volonté, col quale le affinità si fermano ad una somiglianza somatica.
Destino vuole che dentro questa diligenza ci sia Lulù, donna di ignota professione, ma con ben 4 formidabili qualità: - è una gnocca paurosa; - è abilissima con la pistola che tiene nella giarrettiera; - è una maga della truffa a poker; - è una gnocca paurosa.
Ed è proprio grazie alla seconda delle sue qualità che riuscirà a mettere in fuga Il Rosso e la sua crew di delinquenti, dando inizio alla storia della vendicatrice chiamata "Giarrettiera colt".
Ora, potrei continuare a descrivere la trama del film fino a uno snodo cruciale e poi passare all'analisi tecnica. Il fatto è che è tutto così raffazzonato e senza capo né coda che è difficile trovare un punto fermo. La trama è debolissima, neanche l'incipit regge, a parer mio. Si trascina per sequenze narrative montate malissimo, nutrite da dialoghi al limite del ridicolo (con vette che il limite lo superano alla grande) e da una regia veramente di basso livello che vagamente, a volte, sembra lasciar intravedere sprazzi di cinema. Ma vagamente. Poi torna sulla femminilità della protagonista. Insomma, non c'è molto altro da dire sull'aspetto tecnico, purtroppo è davvero la pochezza fatta a film. Che però non annoia mai. Ma su questo aspetto ci tornerò nelle conclusioni.
Lulù che gioca a poker.
Il film ha anche dei pregi: - la colonna sonora opera del maestro Fusco, uno dei primi compositori per il grande schermo che ha musicato lavori come I sovversivi, L'avventura, Cronaca di un amore (nastro d'argento per gli ultimi due citati); qui non particolarmente ricca, ma molto azzeccata e bene inserita;
- la presenza scenica di Lulù, interpretata dalla bella Nicoletta Machiavelli. Il regista non si fa certo mancare l'occasione di ragionare su delle inquadrature adatte all'attrice... Insomma, ogni occasione è buona per farci vedere i seni, messi in bella mostra dai vestiti cuciti da Piero Gherardi (due Oscar per i costumi di La dolce vita e 8 e mezzo). La stessa Machiavelli si vergognerà di aver partecipato a questo film, pur avendo creato e finanziato, insieme al dell'epoca compagno, tutta la produzione. De Laurentiis ci vide bene e a ragione, in lei, un nuovo volto da lanciare nel cinema western, che all'epoca iniziava la cavalcata sugli "spaghetti western" e qualunque sceneggiatura western era utile per incassare qualcosa;
-In ultimo, gli scenari "messicani" co-protagonisti di tutta la pellicola. E qui vi regalo delle curiosità: La Columbus Cinematografica, forse per contenere i costi o per una errata lungimiranza, decise di girare l'intero film in Sardegna. Oltre a girare alcune scene in zone di pregio naturalistico come le dune di Piscinas, unico deserto d'Europa e oasi protetta; come le saline di San Vero Milis; come la frazione marina de "S'Archittu" prese possesso di un microscopico villaggio chiamato "San Salvatore di Sinis", nell'omonima (Sinis) penisola in provincia di Oristano, fatto di casette basse e rustiche che ben dà l'idea di un villaggio messicano del IX secolo. La produzione aggiunse solo qualche scenografia e costruì un tipico saloon americano, il resto era bello che pronto. Leggenda narra che anche Sergio Leone abbia girato, in questi luoghi, delle scene dei suoi western e questo ha contribuito alla fama in chiave turistica del piccolo villaggio per un bel po' di anni a seguire, diventando per tutti semplicemente "San Salvador". Non nuova, permettetendomi la digressione, la zona di Oristano a simili leggende. Già l'area archeologica fenicio-punico-romana di Tharros ebbe la sua leggenda, questa volta "istituzionale". Il sovrintendente ai beni culturali dell'epoca (secondo dopoguerra) decise di inserire delle finte colonne romane là dove circa 2000 anni fa sorgevano le vere colonne andate perdute nel tempo. Quella che sembrò (e ancora è) un gesto malsano di scempio, si rivelò invece molto produttivo, attirando migliaia di turisti e potendo così raccogliere un sacco di soldi per il prosieguo degli scavi veri e propri del sito.
Oggi il villaggio è tornato ad essere il solito, abbandonato, villaggio di San Salvatore. Non c'è più il pozzo finto e i finti muri scenografici. Non c'è più neanche il mitico saloon che, invece, era reale e funzionante - ed è stato per decenni crocevia di turisti di ogni nazionalità - perché, purtroppo, la Sardegna è anche terra di invidiodi e qualcuno pensò bene di dargli fuoco. Con esso, sono stati distrutti tanti ricordi e fotografie di quella piccola, mal riuscita avventura cinematografica, non priva, però, di emozioni per chi ha partecipato anche solo come comparsa o che in quel villaggio ci viveva e ai quali ha regalato momenti di straordinarietà.
Per concludere e riprendendo il filo del discorso prettamente scenico, quanto detto riguardo il film - e guardandolo si percepisce pian piano - si può tradurre in una parola: trash. Sì perché, pur essendo una ciofeca di film, dove anche la più capra tra gli spettatori riesce a percepire "qualcosa di strano", non è noioso, si lascia guardare e più di una volta si ride di gusto per delle frasi dementi o delle scene animalesche. Quel trash che è risaputo piacere a Quentin Tarantino, visto che, oltre alla dichiarata adorazione per la Machiavelli, si è pure ispirato a questo filmaccio per scrivere il suo Kill Bill. Più di qualcuno ricorderà che la nota protagonista cambiò il suo nome in "Arlene Machiavelli" che, nella prima stesura della sceneggiatura, si chiamava proprio come Giarrettiera colt: Nicoletta Machiavelli.
Voto film 3, che trasformo in 10 solo perché, senza di lui, Kill Bill sarebbe un altro film.
Alcune immagini che ritraggono il villaggio all'epoca del film e com'è nel 2017, visitato in estate da me medesimo.
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