[Recensione] Room

A cura di Ellie02

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    Room


    Spesso si dice che l’amore di un genitore per il proprio figlio è il più forte e potente che esista. Questa frase trova sicuramente una piena conferma nella maggior parte delle famiglie, ma non è una verità in senso assoluto. Molti sono i bambini messi al mondo senza amore, nella superficialità o nella privazione affettiva, cresciuti con freddezza e menefreghismo. Purtroppo, sono anche numerose le circostanze in cui atti di violenza portino al generarsi di una nuova vita; “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior” prendendo ispirazione da De Andrè.

    “Room” è una piccola produzione irlandese-canadese affacciatosi nei cinema mondiali nel 2015; un film tratto dal romanzo di Emma Donoghue, tristemente ispirato a fatti realmente accaduti, e adattato per il grande schermo da Lenny Abrahamson. La storia racconta dell’amore di una madre, che ha dato alla luce una creatura nella peggiore delle condizioni possibili. Rapita a soli 17 anni da un aguzzino, viene rinchiusa in un capanno degli attrezzi e ripetutamente sottoposta ad abusi. La sua vita sembra finita, non avere più senso, quando scopre di essere incinta. La nascita di questo bambino sarà la forza che le permetterà di lottare e combattere per un nuovo futuro insieme.

    Il film inizia quando il piccolo Jack compie 5 anni; il suo mondo è la Stanza in cui vive con la madre Joy. Stanza è un vero e proprio pianeta agli occhi del bambino, sconfinato e senza limiti; tutti gli arredamenti e gli oggetti presenti in essa divengono possibilità di interazione, gli abitanti del mondo. La televisione mostra altri pianeti, lontani e fittizi, impossibili da raggiungere. Jack gioca, fa ginnastica, cucina insieme alla madre, vive la sua vita con la spensieratezza di un bambino. Ma gli occhi puri e disincantati del piccolo non sono quelli disperati e senza vita della madre. Quest’ultima è brava nel fare tutto il possibile perché suo figlio viva una vita normale, ma ad uno sguardo dello spettatore lei risponde con una richiesta d’aiuto. Non può più permettere che Jack viva un’esistenza a metà, così un giorno decide di rivelargli la verità sulla realtà esterna e di ideare un piano per fuggire.

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    Questo film è un racconto emotivamente potente; il regista è stato molto bravo a rappresentare le vicende attraverso gli occhi di Jack, si percepiscono gli eventi sbiaditi e sfocati, ma non per questo li si interpreta con maggior superficialità. Ogni volta che i filtri dello sguardo del bambino si sovrappongono a quelli della madre, appare appieno la drammaticità della vicenda. Gli spettatori sono come Jack durante la fuga, avvolti in un tappeto, capaci di intravedere la realtà circostante solo a tratti, dalla luce che filtra attraverso lo spiraglio di visibilità disponibile. Si vede senza guardare veramente e ciò rende la narrazione ancora più disarmante, perché un adulto che si approccia al film comprende cosa ha vissuto quella madre, ma non vedendolo direttamente è l’immaginazione a prendere il sopravvento, aumentando il turbamento emotivo.

    Interessante sfaccettatura che quest’opera propone è anche la plasticità della mente infantile e come essa riesca ad adattarsi al mondo e alle novità meglio di quella adulta. I bambini sono capaci di assimilare moltissime informazione e di interpretarle in modo da farle aderire a ciò che hanno già appreso e fatto sedimentare dentro di loro. La paura e lo straniamento di Jack nel vero mondo vengono presto sostituiti dalla curiosità e dall’attaccamento verso le persone vicine, processo questo molto più arduo e doloroso per la madre.

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    La potenza di questo film non dipende solamente dalle tematiche forti trattate, ma soprattutto, dalle interpretazioni dei due protagonisti. Brie Larson è eccezionale, sa essere la madre dolce ed amorevole e allo stesso tempo la donna disperata ed indelebilmente segnata dalla vita, è inerme e spaventata, ma anche combattiva ed arrabbiata. La sua è una di quelle interpretazioni che segnano e rimangono impresse nella mente e nel cuore degli spettatori; l’Oscar per la Miglior attrice protagonista da lei ricevuto quest’anno è assolutamente meritato. Non si può, però, non parlare della prima interpretazione da attore del piccolo Jacob Tremblay, splendido nel cogliere le differenti sfumature che contraddistinguono lo spettro di emozioni di Jack; sa portare sullo schermo la maturazione del piccolo protagonista e il continuo riplasmarsi della sua visione del mondo. Potrà, secondo me, diventare un bravo attore in futuro, se i suoi genitori prenderanno delle decisioni intelligenti nella scelta dei copioni.
    Il legame tra la Larson e Tremblay è così intenso e struggente che sembra a tratti essere veramente quello tra una madre ed un figlio e questo dimostra l’ottimo lavoro che i due protagonisti, insieme al regista, hanno fatto per rendere realistica la sintonia. Se così non fosse stato, il film avrebbe perso in credibilità e potenza emotiva.

    Anche l’utilizzo dei colori freddi, sia all’interno di Stanza, sia nel mondo esterno hanno contribuito a trasportare lo spettatore negli stati d’animo di Jack e Joy. A supporto delle immagini, inoltre, concorrono anche le musiche, appena accennate e di accompagnamento, uno sfondo non ingombrante che guida all’interno della narrazione.

    Molti sono i film che negli anni hanno trattato di abusi e violenze a carico di donne e ragazze, ma “Room” è un film capace di essere dirompente e delicato allo stesso tempo, che riesce a stimolare la mente attraverso le sue tematiche e a toccare il cuore tramite la sua dimensione emozionale. E’ un film che mi sento vivamente di consigliare a tutti perché è una di quelle opere che vanno viste per arricchirsi come persone.

    Edited by Sidney - 30/4/2016, 17:36
     
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