Il silenzio

Ingmar Bergman - 3 Febbraio 1964

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    Il silenzio

    locandina


    Un film di Ingmar Bergman. Con Ingrid Thulin, Gunnel Lindblom, Jorgen Lindström, Håkan Jahnberg, Birger Malmsten.

    Titolo originale Tystnaden. Drammatico, b/n durata 95 min. - Svezia 1963.


    CITAZIONE
    Le sorelle Ester e Anna sono in viaggio in treno di ritorno dalle vacanze estive. Con loro c'è anche un bambino, Johan, figlio di Anna. A causa di un malore di Ester debbono scendere alla prima stazione e cercare alloggio in un albergo in cui però il personale parla una lingua sconosciuta e sembra non essere in grado di comprenderne altre. Intanto Johan incontra un gruppo di nani che lo fanno partecipare ai loro giochi travestendolo anche da bambina. Mentre Ester cerca di riprendersi in hotel Anna va al cinema e si accorge che nessuno in città prova alcun interesse per ciò stanno facendo gli altri. Prima di poter ripartire tutti e tre i protagonisti verranno coinvolti in esperienze inattese.

    fonte MYmovies

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    Video



    Edited by Viky017 - 1/9/2015, 22:29
     
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    Il silenzio (1963) è l'ultimo film della cosiddetta "trilogia del silenzio di Dio", iniziata nel 1961 con Come in uno specchio e continuata l'anno successivo con Luci d'inverno. Che poi in realtà si tratta di un termine coniato dai critici e che Bergman non ha mai confermato; inoltre, a differenza dei primi due film del trittico, in quest'ultimo la religione è un argomento soltanto marginale.
    Johan, un ragazzino, è in viaggio con la madre Anna (Gunnel Lindblom) e la zia Ester (Ingrid Thulin). Quest'ultima appare gravemente malata, probabilmente tisica e, appena il treno sul quale viaggiano si ferma in una città dallo strano nome (Timoka), decidono di scendere e trovare un albergo in cui soggiornare finché Ester non riprende un po' di forze. All'interno di tale hotel si svolgerà la quasi totalità del film, che quindi rientra nel filone dei "drammi da camera" tanto cari al regista svedese.

    È un film onirico, avulso dalla realtà, sia per l'ambientazione (l'hotel in una città immaginaria nella quale si parla una lingua immaginaria) che per la sceneggiatura. La trama in effetti ha poca importanza: è semplicemente il pretesto per far esplodere, e conseguentemente studiare, le tensioni caratteriali e psicologiche dei personaggi come spesso accade nei film di Bergman; nella fattispecie il rapporto tra due sorelle che vivono insieme il tempo di un ultimo viaggio. Appare presto chiaro come Anna ed Ester, siano profondamente diverse, non si comprendano e siano in forte contrasto tra di loro. Anzi, possiamo parlare tranquillamente di odio feroce, che emerge pian piano. Mentre Ester rappresenta l'intellettualità, la lucidità e una sorta di asessualità (o più probabilmente misandria), Anna rappresenta invece la superficialità, la sensualità, lo spirito ribelle. È uno scontro che, però, si articola tramite dialoghi scarni ed essenziali, cosa strana per Bergman che c'ha sempre abituato a una verbosità quasi eccessiva; come suggerisce il titolo, è il muro di silenzio a sancire la distanza tra le sorelle, a fare da metafora dell'incomunicabilità umana. Viene naturale tracciare un parallelo col nostro Antonioni che tra il '60 ed il '62 - quindi con lo scarto di un solo anno dalla "trilogia del silenzio di Dio" - realizzò la sua "trilogia dell'incomunicabilità". Due grandi registi ossessionati nello stesso periodo dallo stesso problema: la difficoltà di comunicare tra le persone, che poi nel caso di Bergman, a causa della sua educazione, si estende anche alla difficoltà di comunicare col divino. Un altro paragone interessante è con uno dei successivi capolavori di Bergman: Sinfonia d'autunno (1978). Anche il quel caso tutto ruota attorno al contrasto tra due donne vicine, madre e figlia, ma caratterialmente ed intimamente lontane. Però in tale film il contrasto si evolve con una nottata di dialogo sempre più intenso e velenoso, dunque l'esatto contrario di quanto avviene ne Il silenzio.
    Tra l'altro, nonostante il titolo ed il fatto che i personaggi parlino raramente, Il silenzio è un film molto rumoroso. Rumoroso nel senso che vengono fatti risaltare più del normale i suoni ambientali: il ritmico incedere del treno, i fischi del suddetto, il rumore dei carri armati, dei passi nei corridoi dell'hotel e via dicendo.
    Un'altra caratteristica saliente di questo film è la sessualità, così ostentata (cosa piuttosto rara per Bergman) da provocare accese critiche sia in patria che all'estero, dove venne spesso censurato. Nella versione italiana a quanto pare sono state rimosse tre scene piuttosto corpose, ma per fortuna avevo rimediato la versione originale. Le suddette scene sono: Anna che spia l'amplesso tra due amanti al cinema, Ester che si masturba e il rapporto di Anna con un estraneo nell'albergo. In un'altra scena invece Ester insiste con lo sguardo mentre Anna si spoglia, lasciando presumere forse una latente omosessualità, argomento ancora tabù all'epoca. Oltre a questo i pochi dialoghi presenti sono spesso a sfondo sessuale e molto crudi (e anche qui a quanto pare era intervenuta la censura stravolgendo il senso originale), ad esempio possiamo assistere ad Ester che con molta finezza evidenzia il problema dell'odore da pesce marcio post-coito ed altre simili amenità.

    In definitiva si tratta di un film piuttosto originale e sperimentale all'interno della filmografia di Bergman, difficile da comprendere, un pizzico surreale e grottesco, e anche kafkiano: basti pensare al fatto che Ester pur essendo di lavoro traduttrice non riesce a comprendere la lingua del posto, creando una situazione di totale incomunicabilità, oppure ai nani da circo che soggiornano nell'albergo e che vestono da bambina Johan o i carri armati che girano per le strade anche se nessuno sembra farci caso tranne lo stesso Johan. Tra l'altro queste ultime due cose rimandano ancora alla psicologia sessuale (c'è sempre Freud tra i piedi); se poi ci aggiungiamo che il ragazzino pare morbosamente attaccato alla madre (l'aiuta a lavarsi, dorme nello stesso letto con lei nuda) e rappresenta dunque un tipico caso di conflitto edipico, il quadro è completo e si può capire perché questo film abbia suscitato tante polemiche all'epoca e quanto Bergman fosse coraggioso.

    I tre interpreti principali sono tutti bravissimi a partire da Ingrid Thulin - una delle muse del regista svedese - che assieme alla Lindblom ci regala un'interpretazione molto intensa ed emotiva. Dal punto di vista tecnico cosa c'è da dire? C'abbiamo Bergman alla regia e Sven Nykvist direttore della fotografia; parlano già da sé. Tutto perfetto, a partire dagli ottimi primissimi piani tipici di Bergman per finire con gli effetti di luce ed ombra sui volti o nelle stanze.
    Capolavoro quindi? Non proprio. Non è un film all'altezza dei grandi capolavori di Bergman, e neppure dei due film precedenti che compongono la trilogia. Difficile dire cosa esattamente non funzioni in questa pellicola; l'impressione è che Bergman non riesca a gestire questo stile diverso dal solito, che non fosse pienamente maturo per una sperimentazione (anche se da lì a tre anni riuscirà a tirare fuori dal cappello Persona, il più sperimentale e forse anche il suo miglior film in assoluto) e il risultato finale è piuttosto arido.
    Va apprezzato dal lato tecnico e per il coraggio di cercare nuove strade, ma c'è di meglio nella sua filmografia. Consigliato solo ai fan.
     
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