Il diario di un curato di campagna

Robert Bresson - 1951

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    Il diario di un curato di campagna

    locandina


    GENERE: Drammatico, Psicologico
    ANNO: 1951
    REGIA: Robert Bresson
    SCENEGGIATURA: Robert Bresson
    ATTORI: Claude Laydu, Léon Arvel, Antoine Balpêtré, Jean Danet, Jeanne Etievant, Bernard Hubrenne, Marie-Monique Arkell, Nicole Maurey, Jean Riveyre, Andre' Guibert, Nicole Ladmiral, Martine Lemaire
    FOTOGRAFIA: Leonce-Henri Burel
    MONTAGGIO: Paulette Robert
    MUSICHE: Jean-Jacques Grunenwald
    PRODUZIONE: UNION GENERAL CINEMATOGRAPHIQUE
    DISTRIBUZIONE: LUX
    PAESE: Francia
    DURATA: 110 Min

    CITAZIONE
    Un giovane sacerdote, appena uscito dal seminario, viene chiamato ad esercitare il suo Ministero Sacerdotale come parroco ad Ambricourt, modesto villaggio francese. Egli è deciso ad ispirare la sua azione non solo alla lettera, ma allo spirito del Vangelo, questo suo atteggiamento, però, lo mette in contrasto coi parrocchiani. Dalle circostanze e dal sentimento del dovere, rafforzato dalla profonda fede, il giovane sacerdote è indotto ad occuparsi della situazione esistente nella famiglia d'un conte. Questi ha una relazione con la governante della sua figliola adolescente, Chantal; la contessa, trascurata dal marito, tutta assorta nel ricordo d'un figlio morto bambino, non si cura della figlia, è nemica di tutti, ribelle a Dio. Il giovane parroco l'avvicina, l'induce ad una confessione completa e la riporta alla Fede; ma la notte seguente la contessa muore. Questo episodio in cui il sacerdote ha potuto salvare un'anima, rafforza la generale ostilità contro di lui. Un nuovo assalto del male che lo travaglia lo induce a consultare un medico cittadino, dal quale apprende d'essere malato di cancro. Egli morrà poco dopo, dilaniato nel corpo, ma certo della Grazia Divina.

    fonte ComingSoon

    Trailer

    Video



    Edited by Sidney - 31/10/2015, 08:39
     
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    Un giovane prete fresco di seminario (di cui non viene reso noto il nome) raggiunge un paesino della campagna francese, Ambricourt, per iniziare la sua attività di curato nella parrocchia. È un ragazzo dall'aspetto trasandato e dal volto emaciato e sofferente che si nutre esclusivamente di pane secco e vino, incurante degli aspetti materiali della vita, interessato solo alla spiritualità ed alla preghiera. Una sorta di mistico, insomma. Gli abitanti del paese lo trattano con diffidenza, alcuni ne hanno paura, altri lo scherniscono. Dopo alcuni dissapori col nobile di Ambricourt il giovane curato viene allontanato dalla parrocchia e, sempre più sofferente di un male che lo attanaglia da tempo, si reca da un medico che gli diagnostica un cancro allo stomaco incurabile. Il giovane vivrà gli ultimi giorni in casa di un vecchio compagno di seminario che ha abbandonato il clero e le sue ultime parole saranno "tutto è grazia".

    È difficile vedere e commentare un film come questo, ma andiamo con ordine. Il film è la trasposizione dell'omonimo romanzo di Georges Bernanos e la narrazione si svolge per buona parte attraverso la voce fuori campo del curato che legge il diario in cui annotò la sua esperienza, dando così voce ai suoi pensieri. In sostanza è un lungo soliloquio intimo, intervallato da molti silenzi e pochi dialoghi veri e propri.
    In un bianco e nero gelido Bresson tratteggia un universo composto esclusivamente di sventura e pena, come suo solito, e ci presenta una sua versione della fede intesa come percorso di sofferenza interiore per raggiungere, solo alla fine, l'illuminazione e la salvezza. Il curato sembra infatti accollarsi tutti i mali dell'umanità e, convinto di trasportare questo peso, trasferisce il suo dolore nel piccolo diario che si porta appresso. Il travaglio interiore, spirituale (ma anche materiale) del protagonista, rappresentato dal volto sempre più scavato, tormentato e sofferente dell'ottimo Claude Laydu, richiama con tutta probabilità il calvario di Cristo e la via crucis.

    È un film al 100% bressoniano, cioè caratterizzato da un rigore estremo, da una grande freddezza e austerità nella narrazione, dal distacco con cui vengono presentati i personaggi in cui risulta impossibile identificarsi.
    Per questi e altri motivi ho sempre trovato ostico il cinema di Bresson; tanto per dire per me al confronto Béla Tarr o Tarkovskij sono semplicissimi da approcciare. Aggiungiamoci il fatto che questo è il suo film più lungo (perché quantomeno, grazie al cielo, ha sempre fatto film da un'ora e mezza o anche meno) e lento. Aggiungiamoci pure che capisco il distacco e l'impossibilità di provare empatia per i protagonisti in film come Le Diable probablement o Au hasard Balthazar, ma la vicenda narrata ne Il diario di un curato di campagna avrebbe necessitato di maggiori incentivi per sentirsi coinvolti emotivamente e invece niente, anzi forse è il suo film più gelido e indifferente assieme a Mouchette. Aggiungiamoci, infine, il fatto che è uno dei film più religiosi (cattolici) che mi sia mai capitato di vedere e che il modo di intendere la religione negli anni '50, ma anche la mentalità della società stessa, è quanto di più distante ci sia dalla situazione odierna e naturalmente Bresson ne traccia un affresco fedelissimo e rigoroso che rende ancora più ostica la comprensione agli spettatori moderni.
    Insomma, mi viene da dire che questo film (e la filmografia di Bresson in generale) è totalmente estranea ormai al nostro mondo ed è difficile da valutare.

    È un film tecnicamente ineccepibile, ma assolutamente non per tutti. Non so dargli un voto.
     
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1 replies since 16/12/2014, 12:48   78 views
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