Aurora

Friedrich Wilhelm Murnau - 1927

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    Aurora



    Un film di Friedrich Wilhelm Murnau. Con George O'Brien, Janet Gaynor, Margaret Livingston, Bodil Rosing, J. Farrell MacDonald.

    Titolo originale Sunrise. Muto, b/n durata 90' min. - USA 1927


    CITAZIONE
    Le musiche originali di Hugo Riesenfeld rimangono indissociabili dal capolavoro di Murnau; e speriamo che nessuno pensi di "riammodernarle". Delle infinite ricerche espressive — e espressioniste -, senza precedenti per Hollywood, effettuate lungo le riprese nei nuovi, immensi studio di William Fox — che così intendeva rilanciarsi a livello mondiale — rimangono tracce nell'unica bobina di out-takes: varianti e movimenti di macchina poi ridotti al montaggio. Nell'ultima, fuggevole inquadratura possiamo scorgere Murnau stesso, immortalato sul set il 17 gennaio 1927. Il cinegiornale sonoro Fox Movietone su Mussolini e la parata dei reggimenti fascisti che accompagnò la première del film al nuovo cinematografo Fox di Times Square, a New York, fu "una scusa per invitare i rappresentanti ufficiali italiani" (Donald Crafton, The Talkies, Scribners, 1997). -

    fonte MyMovies

    Trailer


    Video



    Edited by Viky017 - 21/10/2015, 19:36
     
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    Un contadino (George O’Brien) tradisce sua moglie (Janet Gaynor) con una donna della città (Margaret Livingston). Quest’ultima tenterà di persuaderlo a compiere un omicidio: sbarazzarsi della consorte annegandola nel lago, vendere la fattoria e poi seguirla in città. L’uomo, diviso tra l’affetto della famiglia e la terra e la passione impura per l’ammiccante borghese, in un primo momento sembra potersi spingere al peggio, salvo poi tirarsi indietro all’ultimo, quando la povera moglie ha capito le sue intenzioni. Spaventata e in fuga dal marito, la donna azzarda una fuga in città mentre lui, visibilmente pentito, non può che seguirla e chiedere perdono. Durante il tempo passato in città, tra giochi e impieghi vari, i due coniugi ritrovano nel giro di una sola giornata un nuovo amore che prima sembrava averli abbandonati. Riscoprendosi fortemente uniti decidono di chiudere la giornata con una gita romantica al lago, ove purtroppo nel bel mezzo del chiaro di luna una tempesta rovina loro il momento facendoli rischiare grosso: la donna cade in acqua durante la tormenta, di lei non si ha più traccia, mentre il marito naufrago, torna a casa ad urlare il terribile accaduto in preda alla disperazione. Quando però al mattino dopo l’aurora farà il suo passaggio, tutto sarà tornato alla normalità.

    Il primo film ad Hollywood di Murnau, regista d’oltralpe fondamentale del periodo tedesco anni ’20, è considerato dai dizionari ancora oggi uno dei film più belli della storia del cinema. Opera di grande grazia e delicatezza, di impronta narrativa chiaramente Hollywoodiana, ma di manodopera tutta tedesca, Sunrise pone in sé uno dei più alti gradini di quella fascia di cinema, rigorosamente muto, che proprio in quello stesso anno sarebbe stata soppiantata dall’avvento del sonoro. Dove non possono essere le parole il miglior mezzo di comunicazione, arrivano certamente i gesti, le espressioni, gli occhi, le smorfie e… una volta tanto, anche la regia stessa. Lo aveva capito bene il regista di Nosferatu, che nel dover illustrare stavolta una storia dai caratteri decisamente romantici, lascia parlare le immagini laddove parole o didascalie sarebbero solo state di ingombro. Sono infatti chiari sin dalle primissime inquadrature quelli che saranno i denominatori che si propagheranno lungo tutto lo scorrere della pellicola: campi lunghi a cielo aperto e primi piani intensi in un crescendo di sentimenti ed emozioni. Nel farci vivere la rinascita di un amore d’altri tempi, Murnau adopera una tecnica assolutamente poco comune ai suoi di tempi, il risultato fu manco a dirlo, straordinario. Un’ora di film viene praticamente impiegata a spiegarci cosa sia l’amore, in una dolce carrellata dello stare insieme nella vita di coppia: visitare la città, farsi fotografare insieme, commuoversi davanti ad un matrimonio in atto, osservare fantasticando le vetrine dei negozi, ballare assieme alle feste, andare in barca al chiaro di luna. Ad arricchire la realizzazione, una miriade di dettagli fotografici e di montaggio, soprattutto attraverso un uso sapiente della sovrimpressione Murnau riesce ad inoltrarci in una struttura sempre circolare, dalla città alla natura, dalla natura alla città, fino alla chiusura che simboleggia un legame tra l’uomo e la sua famiglia in campagna, pieno espletamento di un quieto vivere che oggi è oltremodo andato perduto.
    Dall’utilizzo quasi ridondante della sovrimpressione e del particolare montaggio in questo film che non si risparmia nemmeno i flashback, probabilmente s’ispirò in quelli che sarebbero stati i suoi futuri sperimentalismi d’avanguardia, il russo Dziga Vertov.

    Le scene principali che fanno capire l’importanza di questo film e del suo messaggio, tra metafore e virtuosismi registici, sono almeno 3.
    La scena del bacio in mezzo al traffico della città è nella sua perfezione, girata ovviamente in sovrimpressione. Spudoratamente copiata in una quantità spropositata di emuli di questo film a tal punto da essere entrata nell’immaginario collettivo, in questo film è fondamentale in quanto riesce ad infondere l’inadeguatezza di una coppia di contadini in una città, a farci capire di come, mediante il montaggio accelerato, tutto, ogni cosa: persone, automobili e tempo, scorra in città col triplo della velocità in confronto a quanto accade in una località rurale. Meravigliosa.
    La seconda scena chiave più che una scena vera e propria consiste in una serie di frame che riprendono il marito al manicure mentre si sta facendo eliminare la barba. Tutta la sequenza nel salone è delirante e piuttosto buffa, inconsapevolmente però assistiamo ad un altro elemento metaforico di notevole uso in ambito cinematografico, ossia il mero gesto di rasarsi completamente la barba. Molti altri film avrebbero in seguito replicato questo concetto che simboleggia la fine di una vita vecchia in un gesto quasi purificatorio, in questa caso rappresenta il ritorno al vero amore esorcizzando un periodo di tradimenti e ingiurie. In film come Il Fuggitivo per fare un esempio famoso, Harrison Ford si rade la folta barba in modo da non farsi riconoscere, il che è il preludio di una nuova vita in cui è costretto a farsi rincorrere e guardarsi le spalle. La terza scena essenziale è quella che immortala George O’Brien che sul finale, credendo di aver perso la moglie per sempre, indirizza alla telecamera un urlo, il cui squarcio non possiamo udire ma la disperazione ci è perfettamente resa dall’enorme teatralità della circostanza. Il pianto seguente che lo vede accostato al letto vuoto di sua moglie, è anch’esso di enorme impatto drammaturgico.

    Il finale da antologia con il levarsi dell’aurora e il suo estendersi lungo un paesaggio immacolato come quello della campagna, raggiunge una delle vette di maggiore poesia e lirismo della storia del cinema, in cui musica e immagini si fondono in un connubio che accarezza il divino. Ennesima scena del film questa, piena di rivisitazioni, il finale de L’eclisse di Antonioni ne è un esempio lampante.
    La sceneggiatura scritta da Carl Mayer, collaboratore di Murnau anche in occasione del capolavoro L’ultima Risata, nonché di Wiene per il manifesto espressionista Il Gabinetto del dottor Caligari, è il telaio ideale che sorregge perfettamente quest’opera d’arte carica di raro e sincero intimismo, valori che vanno a scuotere l’animo di chi la guarda. Ecco perché Aurora è l’archetipo del suo genere.
    I tre premi oscar vinti (Produzione artistica, fotografia, attrice) sono solo un fiacco e becero riconoscimento che l’antica Academy non potè fare a meno di esentare, ciò che è veramente sorprendente è la dichiarazione fatta al Cahiers du Cinèma da parte di François Truffaut che lo definì semplicemente il più bel film di tutti i tempi.

    Voto 10



    Edited by Paranoyd - 26/10/2015, 19:38
     
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