News dall'Italia e dal mondo

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    Fanno delle ricerche interessanti làa Cagliari
     
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    CITAZIONE (BlackPanther @ 16/11/2014, 16:17) 
    la disfunzione erettile, uno dei disturbi sessuali più comuni che spesso si associa ad anorgasmia nella partner

    Questa mi ha fatto ridere :P
     
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    Oh ma queste stanno con dei troglo, che si lamentano a fare :lol:
     
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    Duecento anni per riscrivere la Bibbia
    Gli studiosi della Hebrew University stanno per pubblicare il quarto volume

    GERUSALEMME - E Mosè disse: l'Altissimo disperse il genere umano «secondo il numero dei figli di Dio». Disse proprio così, nel Deuteronomio. Il numero dei figli di Dio. Ovvero tante divinità, non una sola. Un elemento di politeismo. Questo sembrano raccontarci oggi i Rotoli del Mar Morto, i più antichi manoscritti della Bibbia. Ma questo non ci tramandarono i masoreti, gli scribi che verso la fine del primo Millennio rilessero, ridiscussero, corressero il Vecchio Testamento. Si capisce: il politeismo era un concetto incompatibile, inaccettabile, insostenibile nel canto di Mosè. E allora, zac: invece d'interpretare, di dare una lettura teologica a quel passaggio, meglio tagliare, sbianchettare con un po' di monoteismo. E ricopiare in un altro modo: «Secondo il numero dei figli d'Israele», settanta come le nazioni del mondo, diventò la versione giunta fino a noi. Un ritocchino: «Come ne sono stati fatti parecchi - dice il biblista Rafael Zer della Hebrew University di Gerusalemme -. Per i credenti, la fonte della Bibbia è la profezia. E la sua sacralità rimane intatta. Ma noi studiosi non possiamo ignorare una cosa: che quelle parole sono state affidate agli esseri umani, sia pure su iniziativa e con l'accordo di Dio. E di passaggio in passaggio, gli errori ci sono stati e si sono moltiplicati...».
    Una parola, la Parola. Sulla Bibbia si giura e si prega, nella Bibbia si spera e si crede. Ma quale Bibbia? Il Pentateuco Samaritano, la versione dei Settanta, la Vulgata, la Bibbia di Re Giacomo? Su uno dei più alti colli gerosolimitani, in una delle più grandi biblioteche del mondo, nella Hebrew University che fondarono Einstein e Freud, nel silenzio degli ulivi e al riparo da ogni curiosità - se chiedete al bidello dove si riuniscono, allarga le braccia e non sa dirvelo -, c'è un team di biblisti che da 53 anni ha l'ambizione di pubblicare l'ultima, definitiva, incontestabile stesura del Vecchio Testamento. «The Bible Project», l'Accademia della Bibbia. Decine d'esegeti, in gran parte ebrei, ma in consultazione costante coi colleghi delle università pontificie e di Friburgo. Riunioni mensili. Bollettini interni e totalmente riservati. La raccomandazione di non parlarne troppo in giro. Secondo un progetto tanto ambizioso quanto lento: in mezzo secolo sono usciti solo tre libri sui 24 della Bibbia ebraica (39 per i cristiani, che li contano in modo diverso), un quarto e un quinto sono imminenti. L'ultimo componente dell'originario comitato scientifico è morto poco tempo fa a 90 anni. E l'intera opera, si prevede, non finirà prima di due secoli: intorno al 2200, o giù di lì.

    «È un lavoro enorme», spiega don Matteo Crimella, studioso milanese dell'Ecole Biblique vicina alla Porta di Damasco, che conosce il progetto: «Si riparte dal Codice di Aleppo, il più antico manoscritto masoretico, per offrire un testo critico con tutte le varianti possibili. La novità è che si tiene conto dei manoscritti di Qumran, facendo un salto di mille anni rispetto al Codice di Leningrado che è sempre stato la base di tutti gli studi. E si censisce, si compara il materiale disponibile in ogni parte del mondo». L'evoluzione della Parola attraverso i millenni.

    Compulsando manoscritti ebraici, notazioni certosine, traduzioni greche, siriache, latine, copte, etiopi, papiri egiziani, edizioni veneziane cinquecentesche, testi pisani, amanuensi samaritani, rotoli in aramaico, perfino citazioni del Corano...

    Picconando le certezze degli ultraortodossi che credono in una sola Parola divina, inalterata e inalterabile. Ogni pagina ha una riga di testo e una serie d'apparati: la traduzione alessandrina più antica, le lezioni basate sui testi del Mar Morto, le citazioni rabbiniche e del Talmud, le differenze di vocalizzazione, il commento. Facendo risaltare evoluzioni, correzioni, censure. Alcune volute, altre casuali. «Si sa che ogni testo biblico tramandato a mano o sotto dettatura non è mai uguale - spiega il professor Alexander Rofe, israeliano nato a Pisa, per quarant'anni docente della Hebrew University -. I testi del 400 a.C. erano come un imbuto rovesciato: per una parola che entrava, ne uscivano molte di più. Ma due secoli e mezzo dopo, accadde l'inverso. L'imbuto si rovesciò nell'altro verso. E nel Tempio qualcuno disse: ecco, questo è il testo ufficiale. Da lì, tutti i libri vennero corretti. E se un libro era molto divergente, non potendolo distruggere, lo si seppelliva. Fu in questo modo che si cominciò a riflettere sulla Sacra Scrittura, ma senza preservarla».

    Una palingenesi di secoli. Così diventò la Bibbia. Dove a correzione s'aggiungeva correzione. Dove qualche setta ci metteva del suo. Dove i tardo-bizantini segnalarono le precisazioni ortografiche. Tanto che, verità ormai consolidata, il Vecchio Testamento che leggiamo oggi non è quello che leggevano in origine.

    Nel Libro dei Proverbi, per esempio, quando una versione dice che il giusto è «saldo nella sua integrità», un'altra parla della «sua morte», introducendo un concetto d'aldilà caro ai Farisei: i due termini, molto simili, sono egualmente illustrati da «The Bible Project» con tutte le possibili interpretazioni. Altri casi? Il Libro di Geremia, hanno concluso i biblisti della Hebrew University recuperando frammenti qua e là, è più lungo d'almeno un settimo rispetto alla versione generalmente accolta. Con differenze non notevolissime, ma comunque differenze: alcuni versi, che riguardano una profezia sulla presa babilonese del Tempio, più che una profezia sembrano un'aggiunta successiva, a fatti compiuti.
    L'Accademia della Bibbia di Gerusalemme non è sola. Progetti paralleli, e altrettanto autorevoli, procedono in Germania e a Oxford. Ma nessuno sembra avere la stessa pretesa di completezza e di monumentalità. «Di sicuro, siamo di fronte alla più estesa edizione critica del Vecchio Testamento mai tentata nella storia», certifica il professor David Marcus, del Seminario teologico ebraico di New York, sostenitore del progetto. Nel 1958, quando Michael Segal riunì per la prima volta il comitato di studi sulla collina della città sacra alle tre religioni, annunciò che «quello che stiamo facendo dev'essere nell'interesse di chiunque abbia interesse alla Bibbia». Nemmeno lui profetizzò tanta difficoltà e lentezza, anche se poteva immaginarlo: niente sarebbe stato facile, per recuperare gli antichi documenti. Mentre parlava, da Aleppo arrivò in Israele il famoso Codice su cui cominciare gli studi. Per miracolo, era stato salvato dall'incendio d'una sinagoga siriana. E di contrabbando, nascosto dentro un elettrodomestico e sotto uno strato di latticini, a riportarlo nel mondo dei biblisti era stato un messaggero che nessun Malachia o Isaia avrebbe mai profetizzato: un commerciante di formaggi.

    Francesco Battistini

    Corriere.it

    Edited by Viky017 - 19/11/2014, 15:31
     
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    è quello della teoria degli alieni? :D
     
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    Definirlo "il tizio della teoria degli alieni" mi sembra brutto e di poco valore per lui :lol: Certo ammetto che quando ha iniziato a parlarne mi è sembrato un po' ridicolo, ma ipotizzando e considerando il fatto che lui stesso dice di basare questa sua teoria sulla scarsa affidabilità della bibbia, non è subito da bollare come folle :D
    Sul fatto che ciò che c'è scritto sulla bibbia sia stato interpretato e diffuso in modo sbagliato e con lo scopo di raggirare la gente ed avere un certo tornaconto per me non c'è ombra di dubbio. Tutto il resto mi affascina, mi ricorda Prometheus ma sono ancora restia a crederci al 100%­
     
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    no no, hai frainteso, non volevo bollarlo come folle o indicarlo come idiota di turno :lol:

    avevo sfogliato il suo libro in biblioteca e sì sono teorie affascinanti, ma non l'ho mai preso per poter dire qualcosa di più. Ricordo quella degli alieni perché è quella più figa sotto il punto di vista letterario :)
     
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    Ok, dicevo anche per i lettori futuri :lol: Mi darò da fare per approfondire il tutto :D
     
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    Buco di trama

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    Ho inserito un video unico (in cui parla delle stesse identiche cose) e ho inserito anche un articolo, così dribblo l'off topic :P
    Credenti o no, vi consiglio di dargli un'occhiata perchè è molto interessante!
     
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    Gli immigrati di Tor Sapienza: “Voi siete senza lavoro, è terribile. Ma la colpa non è nostra”

    Vivevano al centro di viale Morandi da due mesi. Non dover più fuggire per due mesi è già un sogno inverosimile. Sono davanti a me, si stringono in gruppo, la prima volta che escono dal centro dopo… dopo l’assedio e l’assalto e le urla «vi vogliamo bruciare». Mancano i più giovani. Li hanno portati in altri luoghi; loro, gli anziani, ma il più vecchio ha forse venticinque anni, sono rimasti. Una trentina.

    La furia profonda di chi non li vuole più vedere non sembra scemare, anzi contagia altre periferie di questa Roma impiastricciata di cortei rabbiosi e appelli sconsiderati. La civiltà è uno strato sottile, basta la pioggia per cancellarla. La polizia li ha scortati, («la gente ci insultava e noi zitti nel bus, gli occhi bassi…»), la messa per quelli che sono cristiani, il pranzo in un centro di accoglienza. Mi spiegano i volontari di Sant’Egidio, missionari nelle periferie di una tolleranza che sembra anch’essa straniera in tempi di traboccamenti di fiele e vendette: nel pomeriggio torneranno, laggiù.

    Hanno tutti alle spalle la via lunga e pericolosa, la via dolorosa di chi ha dovuto fuggire, la strada del dolore che passa nel deserto e arriva in Libia dove si biforca verso Lampedusa, Catania, Pozzallo. Gente come questa che fugge deve continuare a vivere fidando in caso fortuiti che quanto più sono inverosimili tanto più sembrano normali. Queste sono le fiabe moderne: non molto allegre, che solo raramente terminano meglio di quanto ci si aspetti. Qui in viale Morandi c’erano ragazzini e fuggiaschi che hanno diritto alla compassione di tutto il mondo, quella grande. Non quella piccola, che li compiange ma li trova molesti e indesiderati. Qualcuno che inveisce contro di loro o peggio ha ascoltato le loro storie, sa chi sono?

    Due arrivano dal Gambia, la vita si muove alta sui loro volti, completa e dolce e penosa, e poi eritrei, maliani, afghani, siriani, la geografia del mondo del dolore, dei fanatismi, della sofferenza. Folate di vento sollevano vortici di polvere e pezzetti di carta. «Sono stanco, stanco… Non capisco: ci sono problemi politici in Italia, ma che problema politico sono io, e i miei compagni... Non avete lavoro? È terribile, ma che colpa ne ho io? Vorrei andare nella mia stanza e non svegliarmi».

    Parliamo con fatica, a strappi, il solito intervallo di imbarazzo fra fuggiaschi. Non si sa fino a che punto sia lecito far domande.

    Lui è oromo, etiope («ma in nel mio Paese comandano gli amhara…»). In Libia è stato un anno prigioniero in un campo, ha rischiato la morte, prima che la rete di assistenza del suo popolo gli procurasse i soldi per traversare il mare: «Dove abbiamo sbagliato per trovare tanto odio? Non abbiamo mai fatto casino, noi del centro, aiutavo le vecchiette nel negozio, lasciavo il posto ai signori anziani nel bus, andavamo a scuola per imparare l’italiano… Poi vedo dalla finestra gente che viene verso la nostra casa, lancia pietre, cerca di dar fuoco al palazzo. Sono pazzi».

    Erano stati, tutti, tanto tempo occupati a sopravvivere e vi avevano trovato la loro sicurezza. Era stato un sopravvivere primitivo, come nel panico di un naufragio dove non c’è altro scopo che quello di non affogare. Ora, dopo quello che è accaduto in un luogo che credevano la fine del loro penare, dove speravano che la vita si sarebbe riaperta a ventaglio con un nuovo avvenire, scoprono che il passato che li poteva schiacciare facilmente non lo possono dimenticare. È attaccato a loro. Ancora gente che vuole lapidarli, bruciarli, che li chiama «loro». Si sono resi conto che il ghiaccio che si era formato sarebbe stato per molto tempo troppo sottile per camminarci: è forse ancora possibile ricominciare come con la lingua nuova che hanno davanti a sé?

    Lui ha occhi profondi, i segni sul capo dei colpi ricevuti e due costole rotte. A Roma è arrivato in aereo, ha scelto l’Italia per fuggire il Congo e un regime che lo minacciava di morte. Parliamo in auto, ha paura a camminare per la strada. È uscito per andare a comprare da mangiare: non nel supermercato vicino al centro per rifugiati in cui vive a Tor Sapienza, lì non accettano i buoni sconto: non vogliono «i negri» perché allontanano la clientela italiana. È andato all’altro supermercato, quello che è proprio dietro l’edifico di viale Giorgio Morandi. In dieci lo hanno aggredito e pestato: sul verbale è scritto che volevano derubarlo!

    «Sono qui da due mesi, come posso essere nemico di qualcuno? Ho scelto l’Italia per essere protetto, e sono degli italiani che mi hanno fatto questo. Mi picchiavano e mi dicevano “negro”. Spero che Dio li renda migliori, e li perdoni».

    Piange il rifugiato congolese. È questa qui la vita? Nascere come è nato, vivere in miseria in un Paese dove la giustizia è un lusso da tempi tranquilli, tirare per le strade tricicli carichi di legna o di sacchi, sognare cose che nessuno sarebbe mai riuscito a fargli toccare e, quando poteva cominciare un po’ di speranza, la cattiveria di quelli che credeva amici che gli si scaglia addosso, per scacciarlo, farlo fuggire, far piangere lui.

    Giro per Tor Sapienza. I vecchi edifici hanno un che di malatamente vivo, una virulenta luminosità d’agonia, sembrano formicolare di pustole scure e di croste. È un quartiere popolare eccentrico e grigio, un paesaggio moderatamente squallido nei suoi blocchi di casoni da esser quasi solenne, composto da prati ispidi e smozzicati e tutto intorno le alte e cieche facciate di cemento, le sagome di capannoni e depositi scialbati a calce e gli esili pini, i gobbi ponti della ferrovia e degli svincoli, le distese di terreni vaghi, le baracche dei campi nomadi; qua la sede tutto vetri dell’ufficio immigrazione della polizia di Stato, lì un mucchio di immondizie. Lungo alcuni stradoni senza case, nel nulla, prostitute si preparano alla serata di lavoro: «La città del sesso», la definisce addirittura una abitante infuriato, «…ce l’ha trasferita qui Rutelli…». Dice proprio così, come se fosse una teatro o un albergo. «Abbiamo diecimila froci qua …» urla un altro alzando le mani al cielo… e li mette insieme all’altro degrado, la parola più utilizzata onnipresente: l’eternit nei vasi dei fiori, i cornicioni che cadono, il centro sportivo non finito...

    Eppure ci sono negozi e caffè e passano i bus, una piscina e, all’interno del complesso delle case popolari nucleo della rivolta, un centro di attività per i ragazzi intitolato a Morandi. «Morandi chi? Il cantante?» ha scritto qualcuno su un beffardo murale. C’è una atmosfera di infelicità e di tensione che penetra in tutti i pori della mente, certo, quel tipo di tensione che si avverte negli incubi infantili quando sbucando da dietro una porta può accadere qualcosa di vago e di ignoto. È una spugna imbevuta di cose vissute e sofferte, questo luogo. Ma queste non sono le banlieue francesi che ho visto in furiosa rivolta dieci anni fa. I graffiti sui muri del grande falansterio di 504 appartamenti sono giocondamente banali: «Giorgetta ti amo…». La criminalità c’è, ma è soprattutto italiana. E c’è chi dice che non apprezzasse la presenza della polizia che controllava il centro dei rifugiati minorenni, impicciava i suoi traffici. Che se ne vadano è un buon affare.

    In viale Morandi la polizia presidia il palazzo dei rifugiati, i vetri sfondati, i segni dell’assalto: di fronte una piccola folla attende che una troupe della tv inizi le riprese. Qualche decina, non più, in maggioranza donne, grosse, decise, le «baccajone» delle borgate romane, sempre pronte alla battaglia, allo strillo. Attivisti maschi dall’aria decisa suggeriscono, indirizzano, sovraintendono. La cosa che colpisce di più è l’aria di attesa, sono tutti oziosi ma in attesa. Guardano la giornalista che prepara la ripresa e i poliziotti che chiacchierano davanti ai loro furgoni. Si accendono una ad una le luci nei palazzi e penso alla solitudine di quelle numerose povere esistenze rannicchiate nell’ombra della case, romani e rifugiati, masticando la rabbia gli uni e la paura gli altri, riunite in un uniforme lamento. L’infelicità è davvero la cosa più abituale che ci sia al mondo.

    Nei discorsi degli infervorati si incrociano problemi concreti («Non c’è luce, la sera è impossibile uscire, camminare...») e leggende sfiatate: «Ai rifugiati danno trenta euro al giorno e noi non troviamo lavoro..». Sempre la parola «noi»: ma chi sono questi noi, i vecchi romani, gli italiani, gli immigrati più antichi, dal nostro Sud? La guerra dei poveri mi sembra uno slogan, un comodo pretesto per altre cose. I veri poveri sono quei fuggiaschi. Poi ci sono gli attizzatori sul fuoco di una rabbia abbiettamente contagiosa che conquista, purtroppo, già altre periferie. Impura, tutta impura mi sembra questa tragedia che non brucia le scorie di cui siamo pieni, che ci appesantisce anzi di odi. Su un muro del centro per ragazzi una scritta: «Lasciamo che il giovane modifichi la società e insegni agli adulti come vedere il mondo nuovo…».

    Fonte: La Stampa
     
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    Transparency 2014: Italia prima in Europa per corruzione sorpassa Bulgaria e Grecia

    Il rapporto annuale dell'organizzazione internazionale segna una condizione stabile per il nostro Paese, ma i diretti "concorrenti" migliorano. Il nostro paese tra Sudafrica e Kuwait. Colpa anche dei ritardi e delle timidezze nella lotta alle tangenti

    L’Italia è prima per corruzione tra i paesi dell’Ue. Lo scrive nero su bianco l’ultima classifica della corruzione percepita, il Corruption Perception Index 2014 di Transparency International, che riporta le valutazioni degli osservatori internazionali sul livello di corruzione di 175 paesi del mondo. L’indice 2014 colloca il nostro paese al 69esimo posto della classifica generale, come nel 2013, fanalino di coda dei paesi del G7 e ultimo tra i membri dell’Unione Europea. Rispetto al passato l’Italia ferma la sua rovinosa discesa verso il basso della classifica (i valori sono uguali al 2011 e 2013), ma resta maglia nera tra gli Stati occidentali. Anzi peggiora la sua situazione complessiva in Europa, dato che Bulgaria e Grecia la raggiungono al 69esimo posto, migliorando la loro posizione in classifica. Adesso dietro all’Italia, in Ue, non c’è più nessuno.

    Nel panorama globale, in una scala da zero (gravemente corrotto) a 100 (assolutamente pulito), il nostro paese con i suoi 43 punti si colloca tra le nazioni al mondo che non raggiungono neppure la sufficienza in trasparenza. Nel CPI 2014 l’Italia è sorpassata dalle migliori performance di Sud Africa e Kuwait (in 67esima posizione) e seguita da Montenegro e dall’isola africana di Sao Tomé (in 76esima posizione). Nel G20 si colloca in una posizione inferiore a tutte le nazioni europee, sorpassata come è prevedibile da Usa e Canada, ma anche da Arabia Saudita e Turchia.


    Come ogni anni la classifica mondiale stilata da Transparency è guidata da Danimarca e Nuova Zelanda, mentre al fondo si collocano Nord Corea e Somalia. La media delle 175 nazioni comunque continua a non raggiungere la sufficienza, dimostrando che la corruzione continua ad essere un problema capillarmente diffuso nel mondo: il 69% dei 175 paesi ha punteggi inferiori a 50.

    Hanno performance mediamente migliori i paesi del G20, trainati in su nella classifica da quelli del G7. Tranne che per l’Italia, che invece contribuisce ad abbassare la media. Buona la situazione complessiva anche dei paesi dell’Unione Europea, il cui punteggio medio è di 64/100, anche grazie a nazioni come la Danimarca, la Finlandia e la Svezia che da sempre hanno i migliori posti in classifica (rispettivamente con 92, 89 e 87 punti). Solo il 18% delle nazioni europee non raggiunge la sufficienza. E tra queste, di nuovo, l’Italia.

    Ma quale significato può avere la pessima performance dell’Italia? Difficile dirlo. Il CPI 2014 è calcolato utilizzando 12 differenti fonti di dati da ben 11 diverse istituzioni internazionali che registrano la percezione della corruzione nel settore pubblico negli ultimi due anni. Ma esistono alcuni dati di fatto: l’arresto della caduta dell’Italia in classifica coincide ai mesi in cui è stata varata la legge Severino sulla corruzione e a quelli più recenti in cui il Governo Renzi ha attribuito nuovi poteri all’Autorità anticorruzione, nominandone come presidente Raffaele Cantone. Fattori che potrebbero aver contribuito a non peggiorare ulteriormente la nostra situazione agli occhi degli organismi internazionali, ma che non sono bastati comunque a migliorarla.

    Ogni eventuale segno positivo è ancora affossato dal rumore dei recenti scandali dell’Expo e del Mose, con la loro inevitabile eco internazionale. Ma anche, e soprattutto, dal ritardo con cui il nostro Paese sta rispondendo alle sollecitazioni europee in tema di autoriciclaggio, prescrizione, falso in bilancio, sensibilizzazione dell’opinione pubblica e whistleblowing. E più in generale dal senso di diffusa impunità per corrotti e corruttori che ancora circola il paese e su cui ha puntato il dito il Greco, il gruppo di Stati contro la corruzione, nel suo rapporto 2011.

    Se la pagella di Transparency è legata solo alla percezione è pur vero che proprio tale percezione orienta gli investimenti nel nostro paese. È una sorta di termometro dell’opinone che imprenditori ed esperti hanno. E se questa è la situazione, per l’Italia è ancora febbre alta.

    di Elena Ciccarello | 3 dicembre 2014 - Fatto Quotidiano
     
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    Chi se lo sarebbe mai aspettato :m05:
     
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    LETTERA AL MIO MOLESTATORE

    Noorjahan Akbar ha deciso di scrivere pubblicamente al suo aggressore

    una-lettera-al-mio-molestatore-orig-1_main


    Pubblichiamo la lettera di Noorjahan Akbar, attivista afghana e corrispondente di Safe World for Women, una Ong per i diritti delle donne. Ha deciso di raccontare la sua testimonianza a The Post Internazionale. Dal blog di Noorjahan Akbar.


    Caro signore, io non conosco il suo nome, ma è passato accanto a me una settimana dopo l'Eid-ul-Fetr, nel bazar di Kabul.
    Potrebbe ricordarsi di me. Ero la giovane donna che indossava una sciarpa bianca, una lunga tunica rossa ricamata e dei pantaloni scuri. Ero in piedi vicino a una bancarella di ortaggi e stavo contrattando il prezzo della menta fresca quando lei mi è passato accanto e, con nonchalance, mi ha pizzicato il sedere.
    Io sono arrossita. Il vecchio signore che vendeva gli ortaggi se n'è accorto, ma non ha detto nulla. Probabilmente vede scene di questo tipo ogni giorno. Anche a me è successo più di una volta, ma in questo caso mi sono sentita più imbarazzata perché il signore anziano l’aveva notato.
    Io, signore, l'ho rincorsa e l'ho afferrata per il polso. Spaventata e ancora sudata, ho iniziato a urlare. "Perché l'ha fatto? Come si permette? Si comporta così anche a casa con i suoi familiari?”.
    E lei, signore, ha cominciato a urlarmi contro ancora più forte. "Tu sei pazza! Io non ho fatto niente. Non vale la pena nemmeno avvicinarsi a una come te".
    Ero troppo imbarazzata per raccontare alla gente quello che lei mi aveva fatto. Probabilmente, lei ricorda ancora come ci guardavano. Altre donne mi hanno consigliato di mantenere la calma, avvertendomi che questo scandalo sarebbe servito solo a rovinare la mia reputazione, ma io non avevo intenzione di mollare in quel momento.
    Ho iniziato a urlare. Ben presto è arrivata la polizia e ci ha portato entrambi in centrale. Un uomo alto in uniforme mi ha chiesto cosa fosse successo. Gliel’ho raccontato. Lei, signore, ha provato a replicare, ma l'ufficiale di polizia le ha sbraitato contro. "Tu, stai zitto!".
    Poi, ricordo che il poliziotto ha cominciato a picchiarla, signore. Lei era rannicchiato sul pavimento e l'agente la prendeva a calci con le sue scarpe gigantesche. Il sudore gli colava sulle folte sopracciglia. Doveva essere molto arrabbiato, tanto quanto lo ero io.
    Non la ho mai più rivista, signore, ma l'amico che camminava al suo fianco mi ha seguita fino a casa. Mi ha detto: "Qual è il problema?! Non ti ha mica stuprata". Ma ero troppo stanca per affrontare un secondo litigio quel giorno.
    Lei e il suo amico, signore, probabilmente sostenete entrambi di essere musulmani. Verosimilmente anche lei, signore, prega alla moschea ogni venerdì, o più spesso.
    Probabilmente dite alle vostre mogli che non devono uscire di casa perché il mondo lì fuori è pieno di uomini orribili che saranno la loro disgrazia. Probabilmente lei, signore, crede anche di avere il diritto di toccare il mio sedere perché pensa che una donna "per bene" non dovrebbe mai uscire in strada senza un uomo.
    Le sue sorelle, signore, sono donne "per bene". Restano a casa quando lei le costringe a farlo. Se anche io fossi una donna "per bene", farei lo stesso. Le strade appartengono agli uomini.
    Signore, le scrivo questa lettera per dirle che non ho mai voluto che lei venisse picchiato e umiliato, anche se non sono dispiaciuta per aver parlato.
    Le scrivo per dirle che so cosa sta facendo. Vuole minacciarmi, farmi paura e tenermi zitta e chiusa in casa, dove imparerò ad accudire tanti bambini e a cucinare il cibo per persone come lei, signore, e a essere sottomessa all’uomo che un giorno potrebbe sposarmi.
    Lei vuole che io sia terrorizzata dal mondo esterno e che non trovi la mia strada e la mia dimensione in esso. Vuole farmi credere che l'unico posto sicuro e "decoroso" per me sia in cucina e nella camera da letto. Ma le sto scrivendo per dirle che io non ci cascherò più.
    Né lei, signore, né i talebani, né questo governo, né mio fratello o mia madre, né nessun altro mi può convincere che io sia da meno di un uomo, che non possa difendermi, che non possa essere quello che voglio, e che la migliore prospettiva di vita per me sia in una cucina "sicura" nella quale un uomo o una suocera hanno il controllo su ogni mio movimento. Io non lo accetto questo. Mai più.
    Uscirò di casa ogni giorno e camminerò coraggiosamente per le strade della mia città, non perché ne ho bisogno, ma perché posso, e né le sue molestie, signore, o la sua violenza sessuale - né un governo oppressivo -, riuscirete mai più a negarmelo.
    Con disobbedienza,
    una donna che hai molestato.

    fonte The Post Internazionale
     
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    Nelle classifiche negative ci facciamo sempre valere <_<
    CITAZIONE (BlackPanther @ 3/12/2014, 10:21) 
    [color=red]

    Ogni eventuale segno positivo è ancora affossato dal rumore dei recenti scandali dell’Expo e del Mose, con la loro inevitabile eco internazionale. Ma anche, e soprattutto, dal ritardo con cui il nostro Paese sta rispondendo alle sollecitazioni europee in tema di autoriciclaggio, prescrizione, falso in bilancio, sensibilizzazione dell’opinione pubblica e whistleblowing. E più in generale dal senso di diffusa impunità per corrotti e corruttori che ancora circola il paese e su cui ha puntato il dito il Greco, il gruppo di Stati contro la corruzione, nel suo rapporto 2011.

    Expo, Mose, Mafia Capitale, eccetera eccetera eccetera
    porto-molfetta-senato-dice-alluso-delle-intercettazioni-azzollini
     
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    Comunque visto che siamo un forum di cinema e mi citi mafia capitale, pensa quanto si stanno mangiando le mani gli autori di romanzo criminale, che hanno fatto morire "il nero" nelle loro sceneggiature\libro.. ci scappava il continuo della storia, una specie di breaking bad con better call saul!
     
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411 replies since 13/10/2014, 13:29   4996 views
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