News dall'Italia e dal mondo

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    Raccogliamo qui tutte le notizie dal mondo che non riguardano il cinema e che sentiamo il bisogno di condividere :D

    Inizio io perché questa mi ha fatto girare veramente le palle:

    Capolavoro di Canova distrutto per sempre. A causa di una mostra inutile

    canova-interna

    L'opera d'arte, un bassorilievo in gesso, è andata in frantumi nel corso di un'operazione di trasporto da Perugia ad Assisi. Doveva partecipare ad una esposizione della fondazione dell'ex ministro Galan, la stessa che usò le opere del maestro come spot per la lingerie

    Prima o poi doveva succedere: il mostrificio italico ha fatto una vittima illustre. Il 2 agosto un bassorilievo in gesso di Antonio Canova è stato staccato dal muro dell’Accademia d’Arte di Perugia per essere spedito a soli 24 chilometri di distanza, a una trascurabile mostra di Assisi intitolata semplicemente “Canova”. L’operazione, affidata alla ditta di trasporti Alessandro Maggi di Pietrasanta, è stata fatale: il gesso, cadendo, si è ridotto in mille pezzi. E non c’è restauro che tenga. L’opera era uno dei pochi esemplari noti dell’Uccisione di Priamo, episodio omerico che insieme ad altre famose scene della letteratura classica ispirarono a Canova una delle sue più celebri serie di bassorilievi. Proprio come il bronzo, il gesso consente di moltiplicare gli originali, e in questi casi l’importanza dell’esemplare è legata alle circostanze della creazione: e quello di Perugia aveva tutte le carte in regola, perché era stato donato all’Accademia dagli eredi dello stesso Canova. L’assicurazione dovrebbe ripagare 700.000 euro. Magra consolazione: la nostra generazione ha distrutto qualcosa di unico e irripetibile, che non passeremo ai nostri figli.

    Delitto nel delitto, su questo episodio clamoroso è scesa una coltre di silenzio: la notizia non è riuscita a evadere da scarne cronache locali, e i grandi giornali (che vivono anche del business delle mostre) si sono ben guardati dal raccontare il disastro perugino. Né il sito dell’Accademia né quello del ministero per i Beni Culturali ne danno notizia. L’unico che ha messo il dito nella piaga è lo storico dell’arte Francesco Federico Mancini, in una bella intervista al Corriere dell’Umbria. Mancini chiarisce assai bene la costellazione strumentale e commerciale sotto la quale è nata la mostra che è all’origine di quella che definisce una “gravissima perdita per il nostro patrimonio” che suscita “sconcerto e indignazione”.

    La mostra di Assisi è una specie di franchising della Gipsoteca Canoviana di Possagno, l’istituzione che raccoglie l’eredità dell’artista, e che oggi è stata trasformata in una fondazione, e dunque immancabilmente cannibalizzata dalla politica. Il suo presidente, infatti, è il solito Giancarlo Galan, l’ex ministro pdl per i Beni Culturali il cui consigliere saccheggiò la Biblioteca dei Girolamini a Napoli. Il rapporto culturale tra Galan e Canova è ben chiarito dalla scelta di far realizzare (nel novembre 2012) un catalogo di Intimissimi nella Gipsoteca: una galleria fotografica in cui tombe papali, santi e eroi classici servono a vendere mutande e reggicalze. Una scelta benedetta dall’allora sottosegretario ai Beni Culturali Roberto Cecchi (governo Monti), il quale dichiarò sottilmente che “economia e cultura sono un tutt’uno, non a caso siamo il Bel Paese”. La mostra di Assisi è l’esatta attuazione di questa linea: non ha un progetto scientifico (anche se ha un comitato che vanta direttori generali Mibac e soprintendenti: i quali forse dovrebbero lasciarlo, visto il tragico epilogo), non ha una linea culturale. È un’antologica da cassetta che sarebbe giustificata dal fatto che il fratello di Canova aveva possedimenti in Umbria: parole incredibili, ma vere, del direttore artistico culturale di Perugia-Assisi 2019, che è il carrozzone di una delle quasi venti candidature italiane a capitale della cultura europea nel 2019. Un direttore (meraviglia nella meraviglia) che è il critico letterario Arnaldo Colasanti, noto ai più per aver condotto un’edizione di Uno Mattina Estate.

    Proprio il tandem europeo Perugia-Assisi è il motivo per cui la mostra di Canova (invece di svolgersi semmai all’Accademia di Perugia, dove avrebbe avuto più senso e più sicurezza) è stata programmata ad Assisi: dando la stura a un coro di esilaranti scempiaggini, come quella (avanzata dal direttore della sventurata Accademia perugina) sulle affinità armoniche tra le forme neoclassiche di Canova e i versi medioevali di San Francesco. Ma c’è poco da ridere: i cocci del rilievo di Canova ci ricordano che il mostrificio politico-commerciale in servizio permanente-effettivo non mette a rischio solo la funzione civile e culturale del patrimonio. Ne minaccia la stessa sopravvivenza materiale. Il Mibac diretto da Massimo Bray ha stoppato la terrificante mostra di Roma Barocca prevista a Pechino e annullato l’esibizione commerciale del San Giovannino di Michelangelo alla Galleria Borghese. Ma è tutto il sistema a dover essere profondamente innovato. E non è il caso di aspettare altri cocci.

    Da Il Fatto Quotidiano del 5 settembre 2013
     
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    Mazza oh..,. questa non l'avevo letta.. Che incompetenti!
     
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    Io li ammazzo maledetti
     
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    se guardi i commenti sul fatto quotidiano ho commentato praticamente la stessa cosa XD
     
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    Bella idea Black!
    Io per ora metto una notizia di qualche giorno fa che interesserà solo a me..un caso che non avrà mai fine..
    Caso Pantani, spunta l’ombra della Camorra. Vallanzasca: mi dissero di puntare contro di lui


    Marco Pantani, l’ombra della camorra dietro la sua fine. Solo un’ombra su cui investigare per ora, non un’ipotesi di reato concreta. Ma lo staff difensivo della famiglia, guidato dall’avv.Antonio De Rensis e sospinto da mamma Tonina Belletti, dopo essere riuscita a far riaprire le inchieste sul presunto complotto che sarebbe stato ordito ai danni del Pirata (Procura di Forlì-Cesena) e sulla sua morte (Procura di Rimini), che loro definiscono omicidio, punta a far entrare nell’inchiesta forlivese anche una macchinazione dei clan dietro le scommesse su Giro d’Italia, reato da antimafia.

    Giuridicamente, se ci fosse qualche elemento concreto a disegnare quell’ombra sarebbe già stato mandato, per la loro valutazione alla Direzione distrettuale antimafia di Bologna, ma la Dda ancora non è toccata dal caso. Per ora è una suggestione investigativa basata su fatti tutti noti, e già passati al setaccio e archiviati dalla magistratura. Mamma Tonina non se ne dà pace. Da anni si batte per la sua verità: il suo Marco fu incastrato come ciclista e portato a morte non dalla cocaina di cui era diventato dipendente, ma ucciso da qualcuno che poi fece un’altra messinscena per nascondere il delitto.

    A Forlì c’è il possibile capitolo camorra. Renato Vallanzasca, il bel René che fu a capo della Banda della Comasina, in un libro sostenne all’epoca che, mentre era ergastolano a Opera (Milano), fu avvicinato da uno sconosciuto che gli disse di far parte di un clan e gli diede un consiglio: quello di puntare milioni sui rivali di Pantani. «Non mi permetterei mai di darti una storta. Non so come, ma il pelatino non finisce la gara». Suggerimento insistito, anche mentre il Pirata dominava il giro. Il 5 giugno 1999, l’affondo: «Visto? Il pelatino è stato fatto fuori. Squalificato». Quando lo sentì il magistrato che indagava su Campiglio, Bruno Giardina, pm a Trento - con Pantani all’epoca ancora parte offesa prima di finire indagato per frode sportiva (ma all’epoca l’ematocrito alto non era previsto come doping, e fu poi assolto) - Vallanzasca tacque. Come fece pure incontrando la signora Pantani, nel 2008.

    L’ultima ipotesi d è che Pantani a Madonna di Campiglio fu incastrato dalla camorra, che puntò a eliminarlo dal Giro d’Italia (che avrebbe sicuramente vinto) alterandone a dismisura il valore dell’ematocrito del sangue (a 51,9, contro un massimo di 50) per lucrare sulla vittoria di altri ciclisti. I Pm, con il capo Sergio Sottani la sostituta Lucia Spirito, per ora hanno riaperto il fascicolo archiviato a Trento per associazione a delinquere finalizzata a truffa e frode sportiva, e le relative minacce di cui sarebbe stato vittima Pantani. Hanno già sentito diverse persone, tra cui Tonina e il cronista Davide Dezan, che proprio oggi ha intervistato lo storico massaggiatore di Pantani, Roberto Pregnolato, il quale 15 anni dopo giura che la sera prima del controllo a Madonna l’ematocrito di Pantani era a 48, dunque normale. Non è ancora stato sentito Vallanzasca. Non si sa se e quando, ma dovrebbe succedere a breve. Qualora emergessero prove di un “Giroscommesse” falsato da cosche di camorra con alterazione delle provette a Campiglio, gli atti andrebbero alla Dda. Per ora c’è una frase di Vallanzasca, non confermata, all’epoca, davanti a una toga, e altre due frasi attribuite a un ispettore dell’Unione ciclistica internazionale che, passato il Pirata indenne a un precedente controllo ma fatto con 20’ di ritardo, disse a Pantani: «La prossima volta non te la caverai». E le minacce che Marco avrebbe avuto all’arrivo della tappa di Cesenatico, casa sua, poco prima della squalifica: «Stavolta te la sei cavata, ma non finirai il Giro», ribadite anche al presidente del suo club, Vittorio Savini. Servono sviluppi concreti per dare a Forlì un esito diverso da quello di Trento.

    Fonte: La Stampa
     
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    Che belle notizie :ph34r:
    La notizia della Biblioteca dei Girolamini che era stata trafugata (grazie al direttore De Caro stesso!) neppure la sapevo, anche se è vecchia. Ovviamente c'è sempre di mezzo Marcello dell'Utri...
    Pensare che in paesi come gli Usa, dove di storico e artistico non hanno certo tutto il nostro patrimonio, se ne inventano di ogni per valorizzare quelle poche cose che hanno (tipo musei delle case dei padri fondatori e cose simili)...
    Anche il caso Pantani si fa sempre più complesso.
     
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    Bracconaggio, così in cinque anni gli elefanti rischiano di scomparire

    A lanciare l'allarme Malcolm Ryen, biologo e ricercatore in Tanzania. Che aggiunge: "Per fermare il massacro non servono donazioni ma il bando del commercio dell'avorio e più impegno nella lotta contro i trafficanti"

    È STATA approvata nel 2006 una legge internazionale che ha rimesso sul mercato l'avorio dopo otto anni di bando totale. Il testo comprendeva la regolamentazione sulle quantità da immettere nel mercato. Ma la domanda nell'arco di questi anni ha cominciato a eccedere l'offerta. E si è riaperta la porta drammatica del traffico illegale che sta decimando la popolazione degli elefanti.

    A oggi, se questo è il ritmo, in cinque anni spariranno. A lanciare l'allarme è Malcolm Ryen, quarantenne biologo angloitaliano ricercatore in Tanzania, da vent'anni in Africa: "In otto anni abbiamo perso circa 70mila elefanti, quasi diecimila l'anno, il 65% della popolazione di questo paese. E il resto dell'Africa non è certo messo meglio. Non conosciamo il numero preciso di pachidermi esistenti, ma si teme che dai 500mila del 2006 si sia passati oggi a meno della metà. A questo ritmo entro cinque anni non ce ne saranno più".

    La riesumazione della legge è opera del Cites (Convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora minacciate di estinzione), compresa nelle attività del Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente (UNEP) e di Traffic (Trade Records Analysis of Flora and Fauna in Commerce), agenzia del Wwf, network internazionale con il compito di effettuare il monitoraggio del commercio internazionale delle specie di flora e fauna. La pressione di Cina e Giappone, tra i paesi più attivi nella domanda di avorio, ha fatto sì che la legge che aveva fermato, non eliminato, il bracconaggio di elefanti (che negli anni '70 e '80 aveva raggiunto livelli disastrosi), riprendesse vita per ragioni politiche e commerciali.

    Dal 1989, anno del bando, l'epidemia del bracconaggio si era sensibilmente ridotta, il prezzo dell'avorio abbassato e la popolazione dei pachidermi aveva ricominciato a crescere. Poi cosa è successo? "Nel 1997 alcuni stati africani hanno chiesto di poter vendere l'avorio che avevano accumulato tramite le morti naturali nei dieci anni in cui il bracconaggio era fortemente diminuito", racconta Malcolm. "E il Cites, con il benestare del Traffic, ha acconsentito all'acquisto di 50 tonnellate da parte del Giappone, cancellando con una singola vendita speciale il bando mondiale del commercio. Non contento del primo danno, nel 2006 ha permesso alla Cina di diventare compratore di altre 60 tonnellate da immettere nel mercato a cinque all'anno per 12 anni". Queste quantità non bastano più. All'ultima conferenza Cites del 2013, la Cina ha pubblicamente dichiarato che il suo fabbisogno annuale è di 200 tonnellate, equivalente a 20mila elefanti l'anno.

    L'avorio è diventato un super-investimento: i 150 dollari al chilo del 2006 sono diventati 2300. E il massacro degli elefanti sta dilagando in tutti i paesi africani. Non basta trovare e colpire i bracconieri. Nel 2013 su 1500 sospetti arrestati, il 70% è uscito dal carcere, del 30% rimanente il 25 ha pagato una multa di 500 dollari e il 5% se l'è cavata con qualche mese di reclusione. "Ora c'è la corsa per dare fondi all'Africa per l'antibracconaggio", continua Ryen. "Sì, è importante, ma i fondi già ce li abbiamo. Le aree protette in Tanzania incassano ogni anno 200 milioni di dollari. Non siamo poveri qui in Africa. Per vincere, gli imperativi sono due: 1) bando totale mondiale del commercio di avorio 2) colpire i trafficanti con intelligence e impegno. Non servono droni o elicotteri."

    Ovunque venga smerciato l'avorio provoca morte, conflitti e business. Si trasforma in soldi, oggetti vari come pettini, segnalibri, timbri, statue, e armi. L'"oro bianco" che arriva in Cina e in Giappone attraverso i paesi più poveri come il Sud Sudan, infatti, è utilizzato dai più famigerati gruppi armati africani per finanziare le proprie attività. Tra queste il Lord's Resistance Army, l'Esercito di resistenza del Signore, gruppo ribelle di guerriglia di matrice cristiana che opera principalmente nel nord dell'Uganda, in Sudan del Sud, Repubblica Democratica del Congo e Repubblica Centrafricana.

    La soluzione, secondo Ryen, può essere solo drastica: "Donors di tutto il mondo, dalla banca mondiale alla comunità europea, al USaid e varie organizzazioni di cooperazione internazionale, il mio messaggio è: non sprecate più soldi, esigete commitment e risultati. Non servono tanti soldi per perseguire i ben protetti trafficanti", così, con un appello alla comunità mondiale per mettere definitivamente al bando il commercio dell'avorio, Malcolm Ryen conclude la sua denuncia.
     
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    Legge di Stabilità, quattro miliardi di tagli a sanità, scuola e sicurezza. Eccoli

    Centodue milioni di euro in meno alla Giustizia, 36 sottratti all’amministrazione delle carceri e 15 alla prevenzione del dissesto idrogeologico nei prossimi tre anni. Perfino la scuola, totem renziano della svolta buona, paga un prezzo altissimo: 148milioni di euro nel 2015, 421 entro il 2017. Mancava solo la “bollinatura” della Ragioneria dello Stato per scrivere quel che già si temeva: la legge di stabilità 2015 che doveva essere “espansiva” impone in realtà tagli dolorosi a settori sensibili della spesa pubblica come la sicurezza, l’istruzione e la sanità. Comparti che verseranno alti contributi di sangue alla causa della tenuta dei conti, al vincolo europeo e alle nuove promesse come il bonus-bebé spuntato fuori dal cilindro di Renzi che ha costretto i tecnici della Ragioneria a riaprire di corsa il capitolo “coperture” su cui insiste la richiesta di chiarimenti di Bruxelles.

    Il sigillo infine è arrivato, il testo definitivo è stato depositato alla Camera, dove inizierà il suo percorso parlamentare la prossima settimana. E dunque si possono fare nomi e cifre della cura dimagrante imposta dal governo alle amministrazioni centrali dello Stato, agli enti di rilevanza costituzionale come la Corte dei Conti e i Tar, e a quelli pubblici come Istat, Commercio estero e organismi internazionali. Le forbici incidono su tutto questo per 6,1 miliardi di euro ma non colpiscono allo stesso modo, tra la mano pesante dove proprio non l’aspetti – dalla ricerca all’Autorità Nazionale Anticorruzione – e quella leggera riservata a chi non versa mai un euro. Gran parte dei tagli intaccano spese e budget di Ministeri: 2,4 miliardi come riduzione di voci di spesa di diretta competenza dei dicasteri con portafoglio, 1,4 come misure di settore, 1,017 come riduzione delle dotazioni finanziarie. Ma è nei dettagli dell’operazione che si capisce con quanta cura ha operato il chirurgo. I tagli pluriennali a interi programmi e singole missioni, trascritti nelle tabelle allegate alla manovra, certificano che la scuola privata vale più di quella pubblica, che la lotta alla contraffazione si può fare con meno soldi, che Ebola e il terrorismo sono minacce ma solo per gli altri Paesi. Ecco le riduzioni più significative.

    TOGLI IL TIGRE DAL MOTORE. La manovra è tanto “espansiva” che finisce per colpire anche il Ministero dello Sviluppo Economico: in tre anni avrà a disposizione 20 milioni di euro in meno. Tra le voci rilevanti spiccano i 6,2 milioni sottratti alla “incentivazione del sistema produttivo”, che saliranno poi a 10 nel triennio 2015-2017. Non solo. Penalizzata è anche la promozione all’estero, l’internazionalizzazione delle imprese e l’attrazione degli investimenti esteri che si vedranno tagliare fondi per oltre 1,5 milioni. Cinesi e ambulanti però ringraziano preventivamente il governo per quanto si prepara a fare sul made in Italy, voce di missione tanto cara ai politici da finire serenamente nel paniere dei tagli: la lotta alla contraffazione perderà 5milioni l’anno, 15milioni dal 2015 al 2017.

    L’ITALIA GIOCA META’ IN DIFESA. Nella roulette russa dei tagli il Ministero della Difesa è chiamato allo sforzo maggiore. Da solo sosterrà quasi il 50% del miliardo attinto dalle dotazioni ministeriali. Nel dettaglio, su 550 milioni di euro di riduzione 496 arrivano direttamente dalla revisione delle spese per le Forze Armate e l’approvvigionamento militare. Il resto, dalla vendita di circa 1.200 immobili che a regime dovrebbe portare minori costi per 1,4 miliardi. La lista definitiva però ancora non c’è e il condizionale, dopo anni di annunci, è d’obbligo.

    CONTRORDINE, LA SCUOLA SI TOCCA. Fresco di nomina l’aveva indicata come “il luogo da cui ripartire per uscire dalla crisi” (Ansa, 12/03/ 2014). Sulla scuola Renzi deve aver cambiato idea. Anche il Ministero dell’Istruzione finisce infatti nella rosa dei tagli e con una sforbiciata da 148,6 milioni di euro, suddivisi in 30 a carico dell’istruzione pre-scolastica, 36 alla scuola primaria, 17,6 alla secondaria di primo grado, 54,8 a carico di quella secondaria di secondo grado, 5,4 milioni per l’istruzione universitaria, un milione dalla ricerca. Nel prossimo triennio il taglio sarà di 421 milioni di euro, cioè 21 milioni più delle risorse destinate all’operazione-bandiera scuole sicure. Nelle tabelle col segno “più” davanti, viene invece confermato il contributo di 200 milioni di euro alle scuole non statali per il 2015. Quindi se ne tolgono 148 alla pubblica e se ne danno ancora di più a quella privata. Con anche 50 milioni di mancia.

    IL FARDELLO GIUSTIZIA. Attenzione, c’è da riparare la giustizia. Matteo Renzi lo aveva scandito in tempi non sospetti. Era il 10 marzo e dal loggiato del Sacro convento di Assisi annunciava così l’intenzione di riformare processo civile e penale. Oggi si appresta a chiedere la fiducia sul primo provvedimento mentre l’altro è in alto mare. Nel frattempo è arrivata però la Legge di Stabilità. Che fare? Il governo ha deciso di sperimentare una soluzione nuova: per rendere il processo più veloce si sollevano i tribunali dal fardello dei fondi. La dotazione per il Ministero della Giustizia scende così di ben 64,1 milioni di euro che vengono sottratti alla giustizia civile e penale. Anche lo slancio verso una migliore amministrazione delle pene, sbandierato urbi et orbi da tutti gli ultimi governi, sbatte contro la riduzione di 36,1 milioni all’amministrazione penitenziaria.

    LA BEFFA SICUREZZA. Gli italiani possono però tirare fin d’ora un sospiro di sollievo: il terrorismo che colpisce in Canada non sarà una minaccia per l’Italia, almeno per i prossimi tre anni. Lo dice il governo, lo controfirma il Capo dello Stato e ci mette anche il timbro la Ragioneria. Tutti d’accordo. Dev’essere per questo che al comparto sicurezza la legge di Stabilità non porta in dote un euro di più, semmai toglie 300 milioni nel giro dei prossimi tre anni. Per il 2015 sono così suddivisi: 74 milioni sono a carico dell’ordine pubblico e la sicurezza (42,7 della missione di contrasto e tutela dell’ordine pubblico e 32 per il coordinamento e la pianificazione tra forze di polizia), altri 17 sono sottratti al soccorso civile.

    LA SALUTE SI TOCCA, I DIRITTI PURE. La Lorenzin aveva puntato i piedi: no alla riduzione del 3%. Prima di lei tutti i senatori Pd della Commissione Salute avevano chiesto al loro segretario che “il settore sia al centro dell’azione di governo”. Lui non ha dato retta né al ministro né ai parlamentari della sua maggioranza. Così la cifra in tabella alla voce Ministero della Salute è di 11,3 milioni, tagli che saliranno a 33,3 nel giro di tra anni. La parte del leone la farà il settore della prevenzione con quasi 11 milioni di euro per i prossimi tre anni. La conferma contabile, finalmente, che l’emergenza Ebola non c’è e non ci sarà fino a tutto il 2017. Dopo si vedrà. A seguire il dicastero dei Trasporti con 11,2 milioni di euro per i prossimi tre anni. Otto milioni, giusto per non dimenticarsi dei più deboli, arrivano dal capitolo “diritto alla mobilità”. Pure il ministero del Lavoro viene tagliato: la sforbiciata è di 4,6 milioni nel 2015. Se poi tocca mettere in piedi la riforma dei centri per l’impiego pazienza, si dirà che mancano i soldi.

    CAMPIONI DI SALTO DEL TAGLIO. La Farnesina passa col rosso e non paga dazio. L’abilità delle Feluche in questo sport è ormai proverbiale: scansa i tagli come birilli e li gira al volo su altri. Il Ministero degli Esteri si adegua al dettato del 3% su un bilancio di 1,5 miliardi ma con effetto in gran parte “differito” dietro la promessa, trascritta nelle legge di stabilità, di una prossima riforma del indennità di servizio all’estero che sulla carta dovrebbe portare circa 108 milioni di euro in tre anni. Il tutto a partire da luglio 2015. Intanto però le spese le fanno subito gli organismi terzi cui il il Ministero eroga contributi per conto dello Stato. Dei 25 milioni di risparmio ben 20 saranno sotto la voce Onu e altri 3 sotto la casella Osce. In pratica quel che non si risparmia tagliando in costi strutturali dell’amministrazione lo si taglia ai poveri, in forma di minore contribuzione ai progetti mondiali di cooperazione e sviluppo. La scampano i mega ambasciatori, non gli insegnanti all’estero che subiranno un taglio di 3,7 milioni di euro nel 2015 e di 5,1 per il successivo biennio.

    PIOVE SUL BAGNATO. Un mezzo raggio di sole per gli ultimi alluvionati d’Italia. Mezzo, dopo che lo Sblocca Italia ha ridotto del 50% i fondi annunciati per Genova. E i prossimi alluvionati? Chissà, di doman non v’è certezza. Il governo ha confermato nel dd Stabilità il differimento del pagamento delle tasse per le vittime della calamità del 10-14 ottobre. Ma con la stessa legge ha deciso di tagliare i fondi per la tutela del territorio in tutto il resto del Paese, compresi quelli per la prevenzione e la sistemazione delle aree in dissesto idrogeologico. Il taglio fa parte degli 8,3 milioni spuntati al budget del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, per ogni anno da qui al 2017. Tra le voci di dettaglio 2,3 milioni per tre anni ridurranno il programma di missione “Sviluppo sostenibile e tutela del territorio e dell’ambiente”. Lo stesso fondo subisce anche la decurtazione di 3,5 milioni a carico del Ministero dell’Ambiente. Tagli che si ripeteranno per tre anni consecutivi, per una riduzione complessiva di 15 milioni di euro fino al 2017. Se poi scatta l’emergenza e nessuno risponde si saprà il perché: nella tabella è previsto anche un taglio di 1,4 milioni alle dotazioni del soccorso civile, stavolta sul fronte dell’Ambiente.

    DAI GIUDICI CONTABILI ALL’ANAC. La spending review targata Renzi, come detto, non si limita ai soli ministeri. Nel mirino sono finiti anche 43 enti e organismi pubblici. Questi contribuiranno alla riduzione delle spese per poco più di 22 milioni di euro. L’Istat, ad esempio, si vedrà ridurre i trasferimenti, a decorrere dal 2015, per 2 milioni. Mentre per l’Agea la riduzione di risorse sarà di 3 milioni. Stesso taglio per la valorizzazione dell’istituto di tecnologia. Infine, 10 milioni arriveranno complessivamente dal taglio ai bilanci di organi a rilevanza costituzionale: circa 6 saranno dalla Corte dei conti e 3,2 da Consiglio di Stato e Tar. Perfino la dotazione dell’Autorità Anticorruzione di Cantone si vede tagliare 100mila euro dalla dotazione prevista per i prossimi tre anni. Certo non una cifra enorme rispetto a 5,2 milioni che ancora si aspettano. Ma resta emblematica. Renzi ha tagliato corto sulle coperture sostenendo che “due miliardi si trovano anche domattina”. Ma se ha cercato 100mila euro all’anticorruzione, dove l’emergenza è continua, forse non è poi così vero.

    Fonte: "Il Fatto Quotidiano"

    Articolo di più di un mese fa...

    L'Ocse fotografa la scuola italiana: risorse tagliate e ragazzi sfiduciati

    "Se non serve a trovare lavoro, non studio". L'equazione è allo stesso tempo immediata e drammatica per il nostro Paese. E oggi viene evidenziata dallo Sguardo sull'istruzione 2014 tracciato annualmente dall'Ocse: l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. Nel suo report annuale l'Ocse mette in evidenza per il nostro Paese tutte le difficoltà legate alla ricerca di una occupazione da parte dei giovani e alla conseguente perdita di interesse per lo studio. "Le difficoltà - recita il rapporto 2014 - cui fanno fronte i giovani italiani per trovare un lavoro rischiano di compromettere gli investimenti nell'istruzione". E per essere più chiari: "Con le sempre maggiori difficoltà incontrate nella ricerca di un lavoro, la motivazione dei giovani italiani - prosegue lo studio - nei confronti dell'istruzione è infatti diminuita. I tassi d'iscrizione all'università in Italia hanno segnato una fase di ristagno o sono diminuiti negli anni più recenti e il numero di studenti che abbandonano precocemente gli studi ha smesso di diminuire dopo il 2010". Si tratta dei due nervi scoperti dell'istruzione italiana: pochissimi laureati e tantissimi ragazzi che abbandonano precocemente gli studi.

    E, a fronte di questo, siamo il Paese che investe meno (in percentuale alla spesa pubblica) sull'istruzione - appena il 9 per cento, rispetto al 13 per cento dei paesi Ocse e al 12 per cento dei 21 paesi Ue - e l'unico a tagliare i fondi nel corso degli ultimi anni. Cosa che costringe i genitori a sborsare sempre più quattrini. Con "contributi volontari" che dal 2000 al 2011 sono raddoppiati raggiungendo i 320 dollari statunitensi per alunno. Stesso discorso per le università, oggi finanziate abbondantemente dalle famiglie italiane che contribuiscono per un terzo delle entrate. E il paese con gli insegnanti più anziani dell'intera area Ocse.

    "Nel 2012, quasi un giovane su tre - il 32 per cento - dai 20 ai 24 anni di età non lavorava e non era iscritto a nessun corso di studi. Si tratta dei cosiddetti Neet - Not in education, employment or training. Una percentuale in aumento di 10 punti rispetto al 2008. Nei Paesi Bassi nel 2012 i Neet erano il 7 per cento e in Austria e Germania solo l'11 per cento. Nello stesso anno, circa uno studente su sette - il 14 per cento - tra i 17enni aveva già abbandonato la scuola, con una media Ocse pari al 10 per cento".

    "Tutto lascia pensare che l'università e la scuola non siano viste dai ragazzi italiani e dalle loro famiglie come un aiuto per migliorare la loro posizione sul mercato del lavoro, ma come parte del problema", spiega Francesco Avvisati, autore della nota sull'Italia. "Il sistema di istruzione, in particolare la formazione professionale nelle scuole, nel post-secondario e anche nelle università, devono essere al centro di una strategia per creare e valorizzare le competenze di cui l'economia ha bisogno", prosegue l'esperto dell'Ocse.

    Ma qualche piccolo segnale di crescita si intravede. Cresce il numero delle donne laureate, ma resta inferiore rispetto alla maggior parte dei paesi Ocse. "Tra il 2000 e il 2012, la percentuale di laureati nella fascia di età tra i 25 e i 34 anni è cresciuta dall'11 per cento al 22 per cento, e tra i nuovi laureati si contano il 62 per cento di donne. Il tasso medio di laureati tra i 25-34enni nell'area OCSE, che comprende i diplomati di percorsi di studio professionalizzanti di livello terziario, è del 40 per cento", si legge nella nota diffusa oggi da Parigi.

    E restiamo un paese "con competenze di base inferiori alla media", sia tra gli studenti, sia tra gli adulti. "I giovani laureati Italiani (25-34 anni), per esempio, raggiungono appena il livello di competenze di lettura e matematiche dei loro coetanei senza titolo di studio terziario in Finlandia, in Giappone o nei Paesi Bassi. Anche tra i quindicenni, l'indagine PISA misura un livello medio in matematica e lettura inferiore alla media Ocse", spiegano gli esperti. L'unico aspetto positivo è legato ai piccoli progressi che si sono ottenuti in questi anni nonostante in tagli, soprattutto di insegnanti.

    "Un miglioramento che non ha richiesto risorse aggiuntive: l'Italia è infatti l'unico paese ad aver ridotto, tra il 2000 e il 2011, la spesa pubblica per l'istruzione primaria e secondaria". "Ciò dimostra - spiega Avvisati - che la qualità dell'istruzione non dipende dal numero di insegnanti, ma dalla loro preparazione, dal loro impegno, e da una gestione del personale che motiva i migliori insegnanti a lavorare là dove le sfide sono maggiori".

    Fonte: la Repubblica
     
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    Le mie speranze nei confronti dell'umanità sono sparite già da anni, lo dico per entrambe le ultime due notizie. A parte rabbia e sentirmi impotente di fronte a tutto io proprio non so più cosa fare e dove andremo a finire. Poi stamattina ho sentito che Renzi ha detto che il posto fisso ormai non esiste più, in pratica c'è da rassegnarsi, semmai perdi il lavoro ci pensa lo stato ad aiutarti, non vi preoccupate amici, siamo a cavallo.
     
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    Majin Bu attacca il Vaticano. Bergoglio e Ratzinger si fondono in ‘Berzinger’ per batterlo

    CITTÁ DEL VATICANO – Allarme rosso nella capitale della cristianità e sede del palazzo di giustizia divina: il supercattivo Majin Bu ha dichiarato guerra al Vaticano e si trova attualmente sospeso a 150 metri di altezza sopra San Pietro, in minacciosa attesa.

    Tutto è cominciato lo scorso lunedì, quando Majin Bu ha letto un articolo dell’ Osservatore Romano che per l’ennesima volta lo insultava, etichettandolo come ‘personaggio di fantasia’. La creatura è sempre stata molto irritabile riguardo a questo argomento, e l’ultimo affronto è stata la fatidica goccia. Così Bu ha prima scritto una furente replica al quotidiano, nel quale rivendica: “Se io sono un personaggio inventato allora cosa dovreste dire dello Spirito Santo? Una scusa tanto improbabile quanto astrusa per nascondere una scappatella extraconiugale! E Gesù? Ma vi sembra possibile che uno si immoli per i nostri peccati 2000 anni prima che noi li compiamo?”. L’alieno ha quindi sfidato Papa Francesco dichiarando che, una volta sconfitto il Vicario di Cristo, raderà al suolo la città.

    E proprio ieri il mostro si è teletrasportato sopra Piazza San Pietro, dove si è trovato a fronteggiare Francesco. Nella prima scaramuccia Majin Bu si è limitato a scagliare un’onda energetica sfigurando la guglia della cupola, e a stuzzicare l’avversario: «Adesso chiedi al tuo Dio carpentiere di ricostruirla dal nulla». Bergoglio ha quindi contrattaccato coll’assunto sofistico di Pascal: «Dio esiste e ti sconfiggerà, ci scommetto: se non esiste non perdo nulla, se esiste vinco tutto». Bu ha replicato che se Dio non esiste la Chiesa perde tutto: il Vaticano, la sua casa, tutti i suoi averi e le sue suore da compagnia. Ma Francesco si attendeva questa obiezione, e ha sferrato un colpo poderoso: «Se Dio non esiste noi non perdiamo nulla, perché tutti i nostri averi sono frutto di questue, eredità, donazioni e 8X1000, ottenuti in cambio di astruse promesse di vita eterna, basate sul nulla assoluto. Per questo la Chiesa non può perdere nulla».

    Il mostro ha accusato il colpo e si è rinchiuso in un bozzolo, sospeso sopra San Pietro, in attesa di una metamorfosi che lo renda più forte e immune alle cazzate teologiche. Francesco, approfittando di questo stallo, ha chiamato telepaticamente l’ex Papa Benedetto XVI, che si era ritirato a vita privata dopo aver sconfitto Cell, C17 e l’Illuminismo.

    Ratzinger si trovava nella base segreta di Castel Gandolfo ma, ricevuto il messaggio, si è subito teletrasportato accanto al suo successore, pronto a utilizzare la celebre ‘tecnica della fusione': essa permette ai due supereroi cattolici di unirsi in un unico invincibile corpo. Il superguerriero sarà dotato, come Ratzinger, di tutti gli orpelli di una chiesa secolarizzata ma robustissima sotto il profilo del potere finanziario, le influenze politiche, e l’impunità dalla legge. A cui però si aggiungono i super poteri di Francesco: il presunto ecumenismo e ritorno alle radici povere della Chiesa, le timide aperture verso i diritti civili e l’indubbio carisma stile ‘Con quel sorriso può dire tutte le cazzate che vuole‘.
    Prendendosi per mano i due hanno dunque formato il Superpapa Berzinger, che si trova ora in attesa della schiusa del bozzolo. E se non credete a quanto il sottoscritto testimonia, vi sfido allora a leggere una pagina a caso dalla Bibbia.
     
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    Non fa una piega.
     
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    mi sa che apro un altro topic di notizie simili ahaha facciamo la filiale di lercio XD
     
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    Perché no...ci sta anche Il fallo quotidiano :lol:
     
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    Ahahaha il Fallo quotidiano

    Intanto io mi deprimo leggendo queste notizie:

    Scuola e disabilità: per i bambini di Napoli l’anno scolastico inizia il 12 novembre

    Mercoledì 12 novembre avrà inizio l’anno scolastico per un centinaio di bambini disabili non vedenti ed audiolesi napoletani. Inizierà l’anno scolastico, avete letto bene, perché fino a oggi le porte delle loro scuole erano sbarrate per l’assenza del personale specialistico e del trasporto garantito dalla Provincia.

    Una buona notizia sicuramente, un’ottima notizia per tutte le famiglie che hanno con grande civiltà e tenacia da due mesi condotto una mobilitazione che li ha portati ad interrogare tutte le autorità (?) politiche .

    Inizierà l’anno scolastico il 12 novembre ma non per tutti.

    Eppure nella nota del presidente della provincia Pentangelo si legge: “Il bilancio di quest’anno è il testamento ereditario della Provincia alla Città metropolitana. Sono orgoglioso e sereno per come il governo di centrodestra lascia questo Ente, grazie al grande lavoro di risanamento, ristrutturazione e razionalizzazione che il presidente Cesaro nei primi tre anni ed io negli ultimi due abbiamo svolto. Consegnamo un ente sano, e di questo devo ringraziare anche tutti i componenti della giunta che hanno contribuito a questo lusinghiero risultato”.

    Purtroppo il presidente, persona garbata e sempre disponibile al dialogo, omette nel rassicurante comunicato di informare che la Provincia da settembre ha smesso per sempre di fornire gli assistenti alla comunicazione, i servizi di supporto alla didattica domiciliare per le scuole materne, primarie e per l’università.

    E che per gli istituti per i quali il servizio e la scuola riprenderanno ci saranno riduzioni fino al 50% dei livelli di assistenza. Di tutto questo non se ne ritrova traccia nel comunicato ufficiale .

    Certo , quando si guarda un bicchiere mezzo pieno è sempre meglio che definirlo mezzo vuoto ma nel caso in oggetto stiamo parlando di bambini disabili della scuola materna e delle primarie e di giovani universitari che stanno lottando per garantirsi una dignitosa condizione di vita futura.

    Niente di personale, presidente Pentangelo, ma in tali circostanze chiamare le scelte per nome fa guadagnare in credibilità.

    Le scelte della Provincia di Napoli, i tagli per i disabili e le loro famiglie, sono stati terribili. E lei lo sa.

    Le responsabilità dei mancati trasferimenti agli enti locali del governo Renzi le abbiamo più volte richiamate in questo periodo ma se anche la politica locale smettesse di usare toni trionfalistici ed iniziasse ad interrogarsi su come dare risposte ai bisogni dei suoi cittadini più deboli sarebbe, per tutti, un grande passo avanti.

    Nonostante tutto.
    Fonte:"Il faTTo quotidiano"
     
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    Sessuologi, 2 italiane su 3 insoddisfatte a letto

    A letto le italiane sono più insoddisfatte rispetto agli uomini ma più consapevoli: 13 milioni, cioè 2 su 3, sono scontente della loro vita sessuale perché i rapporti sono inadeguati e troppo sporadici, mentre sono 11 milioni gli uomini che non si sentono appagati sotto le lenzuola. Sei donne su dieci vorrebbero discuterne dal medico assieme al partner: lui però, in caso di disturbi sessuali, spesso fa finta di niente o addossa la colpa alla donna.
    Lo rivelano i dati di un'indagine condotta su 3.000 uomini e donne tra i 18 e i 65 anni, presentata in occasione del XI congresso nazionale della Società Italiana di Andrologia Medica e Medicina della Sessualità (SIAMS), appena concluso a Cagliari. Il 20% degli uomini preferisce evitare di parlare dei propri disturbi sessuali, mentre il 95% delle donne vuole discuterne e il 60% crede opportuno trovare rimedi in due. "I risultati dipingono uomini e donne con una consapevolezza diversa del benessere sessuale e di ciò che vorrebbero dai rapporti - spiega Mario Maggi, presidente SIAMS e Ordinario di Endocrinologia all'Università di Firenze - Le donne oggi si rendono conto che un disturbo di lui può avere ripercussioni anche sul proprio benessere e vogliono cercare soluzioni: la disfunzione erettile, uno dei disturbi sessuali più comuni che spesso si associa ad anorgasmia nella partner, è ritenuta un problema della coppia da affrontare in due dal 57% delle donne e appena il 22% degli uomini''. Colpisce, poi, la mancanza di dialogo: in caso di disfunzione erettile, il 20% degli uomini non vuole parlarne affatto mentre il 95% delle donne ritiene sia un problema da affrontare. E c'è perfino un 25% di uomini secondo cui è giusto che a trovare una soluzione sia soltanto lei, autoassolvendosi da ogni "responsabilità"".

    I dati indicano che il 75% degli uomini pensa di dover andare da solo dal medico mentre il 59% delle donne vorrebbe accompagnare il partner, per discutere del disturbo come di un problema di coppia.
     
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411 replies since 13/10/2014, 13:29   4996 views
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