| L’idea che ha concepito questo film non parte in pole position per due motivi: in primo luogo il brevissimo tempo trascorso dall’omonimo film originale – poco più di un anno – che rende questo film tacciabile di instant movie, i remake all’americana che nulla hanno da aggiungere allo sviluppo della controparte. Il secondo motivo è la difficoltà di replicare l’enorme successo di incassi riscosso in Svezia dal film di Oplev. Premetto subito che il mio sarà un commento scevro sia dal romanzo di Larsson, che non ho letto, sia dal film originale uscito l’anno prima. Il rischio di ripetere quanto fece Nolan con Insomia, l’improbabile remake ambientato in Alaska di un film norvegese di pochi anni prima è stato abilmente esorcizzato oltre che dalla pubblicità e l’intensa distribuzione statunitense, anche dalla vittoria dell’Oscar al Miglior Montaggio, che premia giustamente un film che ha la sua principale virtù proprio nella realizzazione tecnica.
Svezia. Lo scrittore di una rivista scandalistica Mikael Blomkvist (Daniel Craig) viene ingaggiato da un ricco industriale di nove Henrik Vanger (Christopher Plummer) per far luce sulla scomparsa di sua nipote avvenuta parecchi anni prima. Ogni anno dopo la morte della ragazza, l’anziano Vanger riceve puntualmente da qualche sconosciuto, lo stesso regalo che era solita fargli sua nipote. Quando Mikael viene a conoscenza dell’abilità dell’hacker Lisbeth Salander (Rooney Mara), una ragazza punk dal passato tormentato e il presente complicato, la assume come assistente per decodificare l’oscuro misfatto.
Scenari nebulosi, pioggia, ombre e scala di grigi al massimo sono i caratteri tipici del cinema di Fincher. L’inizio di Millennium infatti fa il verso a Seven e Zodiac, ricalcandone l’estetica pedissequamente in quei meccanismi del noir che il regista (di)mostra di addomesticare con grande destrezza. I tempi del film sono dilatati in una durata di due ore e mezzo, rispettando i ritmi del genere: dai lunghi bassi della prima ora a quelli più alti dell’ultima mezz’ora, in un climax di suspence che non solo fa luce sul mistero della trama ma anche sulle origini intricate dei due protagonisti, sulla natura contorta o insana del loro rapporto. Davanti a queste premesse sembrerebbe molto difficile sbagliare un film e malgrado i rischi che ho fatto presente all’inizio, le attese non vengono tradite. Lo reputo un ottimo film non esente da alcuni difetti più o meno perdonabili che riporterò più avanti. E’ innanzitutto un film sulla violenza, da quella fisica più efferrata a quella psicologia. La violenza di un padre di famiglia la cui ubriachezza infrange la vulnerabilità dei propri figli o quella carnale subita da una donna indipendente, Lisbeth. A questo canovaccio di violenza il film fa capo alla scomparsa di Hariett, giovane vittima del padre colpevole del duplice peccato, ubriachezza e misoginia, in un atto spregevole in cui si confondono oltraggio, bestialità, paura dell’inconfessabile. E’ anche un film di corpi: quello androgino, smunto, segnato, della ragazza col drago tatuato, Lisbeth quello protettivo e nerboruto di Mikael, a quelli cascanti e corpulenti dell’avvocato sadico Nils Bjurman e del misogino “ereditario” Martin Vanger (Stellan Skarsgård). Il montaggio, che è stato una volta tanto giustamente premiato dall'Academy, è congegnato in modo da dare al film una struttura discontinua nella prima parte, spezzando la storia di Mikael con quella di Lisbeth, alternando parallelamente le immagini dei due protagonisti fino al loro incontro, che sarà il punto in cui la trama entrerà nel vivo. Da allora curiosamente i due rimangono quasi sempre insieme, tranne in pochi momenti, che si riveleranno quelli di maggiore tensione. Un lavoro eccezionale. La rivista per cui lavora Mikael è quella che da’ il nome al film, "Millennium", un magazine economico intento a dissacrare le più importanti personalità della politica e dell’imprenditoria pubblicandone scandali e truffe varie. In questo particolare risiede un messaggio che il film avrebbe potuto sviluppare meglio e che Stieg Larsson, noto antifascista e antinazista avrebbe benedetto, ma ciò non avviene e se avviene accade in maniera parziale e indubbiamente edulcorata, ponendo l’accento più sulla perversione, l’antifemminismo, l’oggettivazione della donna, la violenza carnale che sul come e sul perché queste piaghe fermentino nell’alta società. Un marxista come me avrebbe trovato pane per i propri denti in un film che mettesse in luce anche temi quali il nichilismo e l’allegra finanza di cui quello che viviamo sembra essere appunto il millennio, e che stando almeno a Wikipedia, in questa trasposizione sono stati omessi:
- Nel film non vengono menzionate le circostanze che portano alla "soffiata" avuta da Mikael, che lo porterà a scrivere l'articolo diffamatorio sul magnate Hans-Erik Wennerström; - Nel film mancano i numerosi colloqui avuti tra Mikael e Dirch Frode, così come i report sulle indagini fatti ad Henrik Vanger; - Nel film non viene menzionato come procede la polizia in seguito alla morte di Martin Vanger, nè il fatto che Lisbeth sia reticente ad avere a che fare con le forze dell'ordine. - Lisbeth sfrutta la confusione nelle aziende di Wennerström per rubare diversi miliardi di corone, nascondendoli in conti svizzeri. (Quest’ultima è tratta dalla pagina di Wikipedia sul romanzo)
Limitandomi a ciò che il film vuole mostrare senza prendere in considerazione tematiche di contorno che avrebbero reso il film ancora più lungo, il risultato può dirsi comunque soddisfacente. Uno dei punto deboli del film è l’attore protagonista. Sono d’accordo con Patrizia da Bologna nell’affermare che la scelta di Daniel Craig è completamente sbagliata e la sua faccia da meticcio non si addice affatto al ruolo. Solo gli americani avrebbero potuto concepire un personaggio del genere, che svolge una determinata professione, con la faccia ottusa dell’attore britannico, che francamente mi sembra che stia soffrendo della sindrome della maggior parte degli agenti 007, inguaribilmente avviluppati in quella parte da non poterne più uscire. Avrei visto meglio un Patrick Wilson, un Woody Harrelson o al massimo Christian Bale in questa parte. Insomma, un attore più carismatico, opposto alla compostezza e all’eleganza (anche nei costumi) del Mikael di Craig. Il personaggio di Rooney Mara, Lisbeth, che Vincent Vega avrebbe aborrato come: “quella con le schifezze in faccia”, mi ha sinceramente colpito per come è scritto e l’interpretazione di Mara è tanto ispirata da rendergli giustizia.
Mi ha anche parecchio attizzato sebbene non sempre gradisca l’eccesso di annessi cutanei. Perfetti Christopher Plummer e Skarsgård in un ruolo che mi ha ricordato quello di Nymphomaniac.
Voto 7.5 |
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