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Votes taken by Paranoyd

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    Chi ha detto che It è uno dei migliori horror degli ultimi anni di James Wan ha visto solo Fast and Furious. Premesso questo, lo reputo un film senza infamia e senza lode, una trasposizione che strizza l’occhio proprio ai fan di Wan, che evidentemente Muschietti conosce bene. Ha in sé tante delle peculiarità dell’orrore contemporaneo, portandosi appresso anche alcuni demeriti, che di seguito sottoporrò al mio occhio critico.
    La storia si rifà al torrenziale capolavoro di King, che vanta anche una miniserie televisiva risalente ai primi anni ’90. Un gruppo di ragazzini d’età pre-adolescenziale di fine anni ’80 sono preoccupati per le misteriose sparizioni che incombono sulla cittadina di Derry. Uno di essi, il balbuziente Bill, abbattuto dalla scomparsa del fratellino, ma non del tutto rassegnato, si avventura in una prodigiosa ricerca assieme ai suoi amici più fidati, il “Club dei perdenti”. Ne consegue che ogni sparizione porta il marchio di un essere demoniaco, il sadico clown Pennywise.

    Come un pendolo, It oscilla incessantemente tra realtà e immaginazione, ripercorrendo nel suo pavido districarsi, le ataviche paure dell’infanzia e i patemi della pubertà. Il buio dello scantinato, quadri raffiguranti immagini spettrali, l’ignoto che si cela dentro le fogne, il bullismo, l’incomunicabilità, o la noncuranza genitoriale o peggio, accenni di pedofilia.
    Tanti spunti di riflessione dunque, come in un vero Bildungsroman questo film dell’orrore parte sulle basi più solide per costruire una storia ricca di significati, che purtroppo non sempre vengono posti al centro della narrazione - 150 minuti di durata -, rischiando di disperdere qua e là la carica drammatica, schiacciata da una gravosa voglia di spaventare che soffoca tutte le migliori intenzioni di partenza.
    Procediamo per gradi. Non si capisce, o meglio, non si vuol far capire se ciò che vediamo, e che i giovani protagonisti vedono, sia oggetto di fervida immaginazione, della gamma di paure che albergano in ognuno di noi, o se reale e tangibile, percepibile quindi dall’inconfutabile razionalità adulta. Questa confusione, questa contaminazione, è resa ottimamente in alcune scene ed è un pregio che Muschietti sia riuscito a renderla tanto intricata.
    It è un villain reso non solo odioso da ciò che esso rappresenta, ma proprio per come è scritto, tant’è che le peggiori antipatie dello spettatore verso il film si accentuano nei momenti in cui il cattivo è di turno, fomentando distacco e indifferenza invece di empatia verso le sue vittime o le efferatezze commesse dal malefico clown. La costruzione della suspence non ha i ritmi giusti, gli spaventi sono in gran parte telefonati e tutti, tutti, avvengono per alzate di volume fastidiose e sonorità che per quanto sono comuni, diventano oltremodo invadenti. Un secondo difetto del personaggio interpretato da Bill Skarsgård è che è del tutto privo di fascino, rea una scrittura penosa che si limita ad approfondirne l’entità demoniaca e la fisicità clownesca senza mai fargli pronunciare un discorso serio, mai una battuta decente. In questo mio giudizio si riservano le speranze del Capitolo 2, poiché il rischio di cadere nella sgradevole mediocrità negli stessi punti di questo episodio non è da sottovalutare.
    Come ogni cinefilo si appresti alla visione di questo film, sono rimasto piacevolmente colpito dalle citazioni riservate agli amanti del King cinematografico, il Clan dei Perdenti con al seguito il branco di bulli mi ha ricordato i ragazzi di Stand By Me, ispirato al racconto The Body, sempre dello scrittore del Maine. Ragazzi disagiati, arenati nell’età di mezzo tra infanzia e maturità, destinati ad una consapevolezza che non sarà mai del tutto raggiunta, poichè “senza possibilità di riuscire nella vita”. Quelli di It sono palesemente goffi emulatori, e forse è un bene, vista la fine che hanno fatto gli altri, ma in fin dei conti riescono ad attirare un buon numero di consensi positivi.
    Un'altra citazione che ho particolarmente gradito è quella di Carrie, quando Beverly (fresca di menarca) è chiusa in bagno e si vede spruzzare fiotti di sangue addosso dalla tubatura fino ad inondarne interamente la stanza.
    Chiedo scusa alle ragazze se sono stato poco delicato in questa descrizione.
    In chiusura consiglio di diffidare dalle recensioni troppo positive che elevano questo film a ciò che non solo non è, ma non riesce ad assumere in sé la grandiosità dell’opera letteraria che l’ha ispirato, evolvendosi nel solito conformismo asettico relegabile con un convenzionale 7.
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    Le streghe (1967), film a episodi di Bolognini, Visconti, Rossi, Pasolini, De Sica.
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    Il primo film sonoro del maestro Dreyer avrebbe potuto benissimo essere muto, dato che le battute pronunciate dai suoi attori sono assai poco numerose e particolarmente “ermetiche”.
    La particolarità di questo film, palesemente d’altri tempi persino per un film in bianco e nero, sta infatti in un’adesione tutt’altro che totale all’avvento del sonoro. Dirompente fu in quegli anni il Dracula di Browning con un indimenticabile Bela Lugosi, l’aggettivazione “dirompente” sta ad indicare che il film è considerato un classico ma ai suoi tempi riscosse accoglienze alquanto discrete. Difatti il romanzo di Stoker - particolarmente glamour all’epoca - è celebre per le sue tante trasposizioni e già col muto Nosferatu di Murnau, quello sì, un capolavoro assoluto, si piazzarono paletti importanti in tema di vampiri al cinema. Ma torniamo a Dreyer, dato che se parliamo di vampiri qua facciamo notte.
    Dicevo appunto che Vampyr ha a suo carico fondamentalmente due scelte del suo regista che sono assolutamente anticonformiste e nuove, la prima è quella di beffare il pubblico che si aspettava un film sonoro, come era richiesto nei primi anni ’30; la seconda è quella di scegliere come ispirazione per il “terzo componimento vampiresco” le novelle dello scrittore maledetto Sheridan Le Fanu.
    La visione di Vampyr è un po' stucchevole, un film invecchiato con tutti gli onori della critica, arrivato ai giorni nostri in una forma pressochè esoterica in fatto di contenuti, che poco si appresta alla visione dello spettatore post-moderno medio, abituato come è al vampiro di oggi. Non poggia infatti sulle basi cui il pubblico era abituato, Le Fanu non è Stoker, e il regista lo sapeva bene ma da vero genio quale era trasformò un soggetto meno popolare in un suo progetto molto più autoriale, quindi con tutti i pregi e i rischi della diversità.
    E’ la storia del giovane Allan Grey (un nome che è tutto un programma), un ragazzo elegante che va ad alloggiare in un affittacamere fatiscente, gestito da una famiglia dall’aria sinistra. In una scena inquietante il capofamiglia, l’anziano castellano interpretato dal caratterista Maurice Schutz, irrompe nella stanza dove Grey riposa lasciandogli un biglietto su cui è scritto “Da aprire dopo la mia morte”. Basterebbe questa introduzione per capire quanto sia curioso il cinema del danese, ma da lì in poi una serie di avvenimenti, tutti evocativi in gran misura, porteranno il protagonista a fare le scoperte più bieche.
    Sottolineo subito che il film è di un danese, ma ribolle di uno spirito tremendamente tedesco, mitteleuropeo ed espressionista fino al midollo, e pervaso di un’aura angosciante. Questo film è come la Cattedrale di Praga, imponente nella sua struttura, ben saldo sui severi schemi di un cinema che ora non esiste più.
    E’ un’opera che rispecchia pienamente il rigore di Dreyer, reo secondo alcuni critici di aver fatto cinema troppo religioso, qui a mio avviso ci discostiamo leggermente da Giovanna d’Arco, seppur la spiritualità sia al centro della storia. In fondo, come tutte le storie di vampiri, parla di reietti a cui sono state chiuse le porte del Paradiso.
    Le parole pronunciate dagli attori (ho visto il film in tedesco, che credo sia l’unico modo di accedervi) sembrano più dei sussurri, tenui accenni di dinamismo, dei timidi “Guten Abend” tra gente estremamente formale, come potevano essere i tedeschi delle campagne di una volta, lande desolate avvolte nel mistero. La regia esordisce con immagini come questa:
    Che guardi e fai…boh!
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    Da cui si capisce subito che ciò che si sta guardando è qualcosa di brutale. Il racconto si propaga tra trovate di bellezza onirica: immaginarie corse sui prati di persone in realtà malate ed altre puramente sibaritiche, con ombre di fantasmi che si muovono in un armonioso balletto di morte, davvero grottesco. Strane figure si avvicendano con grande teatralità davanti alla macchina da presa, con le quelle mimiche facciali tipiche dell’era del muto, quando il film aveva un valore più esteso e votato alla fantasia chi di lo fa ma anche di chi guarda.
    Regia e fotografia creano un connubio vincente, un trip nell’orrore, tra personaggi magnificamente interpretati, ed una musica che da’ il definitivo valore aggiunto, che non è solo di contorno.
    Ci sono almeno un paio di scene destinate a restare impresse nella mente di chi guarda Vampyr, oltre al già citato balletto delle ombre, realizzato con tecniche fotografiche di livello magistrale; tutta la sequenza in cui il protagonista immagina di esser rinchiuso in una bara con una parte di vetro all’altezza dei suoi occhi sbarrati e privi di vita, in cui siamo inoltrati attraverso una tecnica di ripresa piuttosto suggestiva. Ecco, queste due scene non faranno di Vampyr un capolavoro, ma bastano a far capire che Dreyer non era un regista come tutti gli altri.

    voto 8
  5. .
    Mi accorgo di essere sistematicamente malcompreso e questo mi dispiace davvero, perchè le buone intenzioni da parte mia ci son tutte ed è anche parecchio imbarazzante che si sia venuta a creare una situazione del genere.
    Il bello è che sono anche d'accordo su quanto hai sollevato, Madian, le mie parole è chiaro che ti abbiano fatto sentire tirato in causa, dato che erroneamente ho usato la seconda persona singolare, facendo credere che siano rivolte a te direttamente. Nel post precedente avevi parlato di nostalgia, e la mia voleva essere una smentita in chiave a come mi ero espresso io riguardo al cinema del passato. Non c'entra davvero la nostalgia, è una questione oggettiva che mi è stata fatta notare e che non tutti vedono, vuoi per carenze meramente culturali o semplicemente disinformazione. E' il fatto che tu abbia criticato, quasi alla cieca, come se fosse il discorso di un semplice nostalgico, che tra l'altro non posso affatto essere dato che ho 20 anni, ma di uno che cerca di avere una visione d'insieme senza basarsi esclusivamente sulla propria esperienza, quanto su alcuni studi e ricerche private, certamente più accurate, di arricchimento. Era riferito a me, "solo la cultura e l'informazione posso dartelo", era riferito a quello, non lo dicevo in senso discriminatorio verso chi non la vede come me. Non mi è piacuto il polverone che hai sollevato perchè l'ho ritenuto estremamente semplicistico e qualunquistico ma solo in risposta a quanto avevo scritto io, poco attinente, secondo il mio insulso parere. Il tuo ragionamento decontestualizzato e preso con distacco ha perfettamente senso, è errato l'aver insistito su parole dette da me in modo del tutto sincero, inoffensivo. Ed è questo atteggiamento che mi ha portato a darti dell'ottuso, come se ti fossi sentito attaccato.
    Poi che non sei veramente incolto lo capisco da come scrivi, ma mi sentirei comunque di difendere la tua opinione anche se elargita in modo diverso dal mio, che tendo ad argomentare in modo preciso, a mo' di saggio breve.
    Non ti sei reso conto forse ma il mio darti addosso è derivato dal tuo darmi del cazzaro. Dopo tutta la fatica che ho fatto per mettere insieme un pensiero coerente, che sia sensato quantomeno, e non sensazionalistico o utopico come è stato fatto sembrare, non è giusto nei miei confronti.
    Che ci crediate o no l'opinione che fabbrico è mia e mia soltanto, che faccia capo a fonti di cultura generale mi sembra solo un pregio, altrimenti non mi sarei preso così seriamente in questi interventi e non mi differenzierei dalla fauna che su Facebook sproloquia senza sapere neanche di che cazzo sta parlando.
    Tuttavia accetto anche le opinioni scadenti, purchè oneste, ho piena fiducia nella libertà umana, mi ritengo fermamente democratico.
    Ti chiedo di scrivermi in privato qualora avessi altri dubbi su questa diatriba... che sta durando un po' troppo.
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    Il dibattito Cinema vs Home per me è già concluso, mi sono davvero espresso ad oltranza su ciò che penso e insistendo rischierei di scadere in ripetizioni o esaltazioni d'orgoglio, come ha detto Sidney.
    Per quanto concerne la costola del mio ragionamento, dovrei analizzare i paragrafi della mia arringa uno ad uno, rifarmi agli autori che ho citato per formulare il costrutto, ma ho preferito centellinare anche per rispetto degli eventuali lettori. Immagino non sia accattivante leggere una caterba di nomi, tra scrittori e filosofi, senza conoscerne le opere, vederli chiamare in causa così dal nulla.
    Ho posto il problema non su un piano prettamente cinefilo o di gusti personali, ma ne ho attribuito una valenza più ampia e che secondo me aiuta a comprendere i fenomeni socio-culturali che hanno determinato il fallimento del Cinema o, per esteso, delle arti umane, come ha detto egregiamente Max.
    "Educare l'anima ai tempi della tecnica" di Umberto Galimberti, mi ha dato notevoli spunti di riflessione, ma è solo un esempio che preso singolarmente in questo contesto, apparentemente capisco voglia dire poco o nulla.
    Bisognerebbe aprire un topic apposito, tuttavia non si viene al nocciolo della questione se non si ha una visione d' insieme a 360°, il pensiero cinefilo non basta e spero di non essermi dato troppe arie con queste ultime affermazioni.
    E' questo che volevo dire, e per venirne a capo bisogna leggere.
    Ribadisco che non è un'accusa, ma un invito, un invito molto umile e che faccio prima di tutto a me stesso.
  7. .
    CITAZIONE (maxsp @ 25/10/2017, 09:54) 
    CITAZIONE (Sidney @ 25/10/2017, 09:52) 
    Comunque io direi di chiudere qui con la sentenza Madian VS Paranoyd.

    il cinema 3d non è cinema è videogioco :)

    Concordo con entrambi.
    Il cinema 3D secondo me aggiunge poco al cinema vero e proprio. Lo paragonerei ad un bella gita in una metropoli, tante cose da scoprire, un'impalcatura massiccia e accurata che in soldoni lascia poco (ben poco visti i costi), una modesta gioia umana, nulla di più.
    Ho visto l'hanno scorso Ghost in the Shell, sembrava di essere proprio in un videogioco, a tratti uno sparatutto in terza persona con ambientazioni cyberpunk. Le scene in esterno invece una gioia per gli occhi, ma solo per quelli e neanche tanto a lungo dato che la visione in 3D mi ha veramente infastidito, che sia cinema oppure home. Credo che l'home 3D abbia senso a casa solo se certi criteri siano supportati. È una cosa "in più" a mio modesto avviso.
  8. .
    Sono sempre del parere che i CONTRO, si riferiscono a disagi personali, come le difficoltà di cui parla max, che sono più che giuste, non sto a discutere questo. Ognuno deve trovare l'atmosfera più adatta.
    Sta di fatto che tolti magicamente questi disagi, che il più delle volte derivano da cattiva clientela, il Cinema sarebbe sempre l'opzione preferita, a meno che non si hanno tali difficoltà economiche da non potersi concedere una serata in sala. Qui secondo me risiede l'aspetto primordiale dell'intera discussione.
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    Da bambino ho amato questa:
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    Confessione di un commissario di polizia al procuratore della Repubblica (1971), Damiano Damiani.

    Filmone pazzesco!
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    1) Film dalla lista dei partecipanti: Un maledetto imbroglio (1959), Pietro Germi - Snaporaz
    Bonus BN - Scheda - No Americano - Pre60.

    2) Film al cinema: JOLLY

    3) Film in bianco e nero: La grande illusione (1937), Jean Renoir
    Bonus B/N - Scheda - No Americano - Pre60.

    4) Film antecedente al 01/01/1980: Riso amaro (1949), Giuseppe De Santis
    Bonus BN - Scheda - No Americano - Pre60.

    5) Film non americano: Dies Irae (1943), Carl Theodor Dreyer - Danimarca
    Bonus BN - Scheda - Pre60

    6) Film western/horror/fantascienza: I vampiri (1957), Riccardo Freda - Horror
    Bonus BN - Scheda - No Americano - Pre60.

    7) Film tratto da un libro: Vampyr - Il Vampiro (1932), Carl Theodor Dreyer (tratto dalle novelle di Sheridan Le Fanu
    Bonus BN - Scheda - No Americano - Pre60.

    2) Film tratto da un libro: JOLLY Una donna nella Luna (1929), Fritz Lang (tratto dal romanzo di Thea von Harbou
    Bonus BN - Scheda - No Americano - Pre60 - Durata.

    Edited by Paranoyd - 23/10/2017, 13:35
  12. .
    1) Film dalla lista dei partecipanti: Un maledetto imbroglio (1959), Pietro Germi - Snaporaz
    2) Film al cinema: JOLLY
    3) Film in bianco e nero: La grande illusione (1937), Jean Renoir
    4) Film antecedente al 01/01/1980: Riso amaro (1949), Giuseppe De Santis
    5) Film non americano: Dies Irae (1943), Carl Theodor Dreyer - Danimarca
    6) Film western/horror/fantascienza: I vampiri (1957), Riccardo Freda - Horror
    7) Film tratto da un libro: Vampyr - Il Vampiro (1932), Carl Theodor Dreyer (tratto dalle novelle di Sheridan Le Fanu
    2) Film tratto da un libro: JOLLY Una donna nella Luna (1929), Fritz Lang (tratto dal romanzo di Thea von Harbou

    Edited by Paranoyd - 18/10/2017, 00:05
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    Mi iscrivo:
    - Non si sevizia un Paperino (1971), Lucio Fulci.
    - Oscar Insanguinato (1973), Douglas Hickox.
    - The Ward - Il Reparto (2010), John Carpenter.
    - Burke & Hare - Ladri di cadaveri (2010), John Landis.
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    Se le aspettative poste in essere dal soggetto e dal trailer saranno onorate, verrà fuori un gran film.
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    Thief - Strade violente (1981), Michael Mann
507 replies since 23/9/2014
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