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Jack DiSpade
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Considero questo uno dei più grandi film di sempre, sicuramenti il migliore di Lee, che conosco abbasrtanza bene. Dipinge una NY sfaccettata e caotica, una Gerusalemme neocapitalista dove l'individuo è impossibilitato a trovare sé stesso, intrappolato in un melting pot malato che inasprisce le differenze culturali anziché neutralizzarle. Certamente sul film pesa, ora lo possiamo dire, una certa contingenza verso i fatti del 9\11, ma i contenuti sono in ogni caso abbastanza forti da reggere una decontestualizzazione. Tutti ricordano il famoso monologo; la solitudine esistenziale e il rapporto con l'Altro sono portati da Lee alle loro estrreme conseguenze, in un climax di sublime efficacia discorsiva. Tra i personaggi possiamo rintracciare moltissime tipologie sociali e caratteriali che riproducono a livello affettivo la pluralità babelica della metropoli, ogni personaggio possiede caratteristiche che lo rendono diverso da tutti gli altri, lo rendono unico. Unico, e quindi condannato a rimanere solo. È sorprendente quante storie e microstorie riesce a raccontare questo film: tutti i ruoli riescono ad avere il loro arco narrativo e dire ciò che hanno da dire senza che questo disperda l'attenzione verso il filo conduttore, Monty, che il montaggio evita di abbandonare per troppo tempo. E tutto questo, fortunatamente, non viene disattesso dal finale, elegantissimo e di una delicatezza tale che riesce a sciogliere felicemente la ferocissima parte centrale.
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