Triste, commovente, riflessivo.
Non sono proprio questi gli aggettivi che avrei pensato di usare per descrivere questo film.
Leggendo la trama credevo si trattasse della solita storia del ragazzo con il pallino del sesso, tanto da arrivare a provare attrazione anche per la sorella, ma fortunatamente (o sfortunatamente) ancora non avevo ben inquadrato il cinema di Steve McQueen.

Più che sulla storia, la quale potrebbe collocarsi in qualsiasi momento della vita del protagonista, Brandon, Shame si focalizza sul personaggio interpretato da Michael Fassbender, sulle sue dipendenze e sui suoi sentimenti, diventando così il ritratto di un uomo tormentato ed in conflitto con sé stesso.
Sin dalla prima inquadratura è possibile capire attraverso lo sguardo perso e vuoto di Brandon, quanta sofferenza ci sia in lui.
La ripetitività delle azioni fa di lui un uomo insicuro di sé stesso, così tanto che anche la più piccola azione fuori dalla sua routine crea in lui smarrimento, obbligandolo così a trovare in qualsiasi modo rifugio nell'unica cosa che riesce a dargli, seppur in modo effimero, un po' di sollievo: il sesso.
Poiché il piacere carnale è il suo unico modo di comunicazione, Brandon non riesce ad instaurare nessun tipo di rapporto sentimentale con persone per le quali prova un vero sentimento d'amore.
Da questa sua incapacità di esprimere emozioni, nascono quindi il difficile rapporto con la sorella ed il tormento d'animo causato dall'impossibile relazione con la collega di lavoro.
McQueen ci presenta quindi un personaggio afflitto, riservato, pieno di segreti che probabilmente mai qualcuno sarà in grado di conoscere, un uomo presumibilmente segnato da un triste episodio riguardante la sua infanzia e quella della sorella, anch'essa interiormente turbata.
Magnifico il lavoro di Fassbender, capace di esprimere sofferenza, smarrimento e fascino in un solo sguardo.
È quindi piuttosto facile entrare in empatia con Brandon, sentire il suo continuo disagio ed arrivare magari a commuoversi e dispiacersi per tutto il dolore che quest'uomo porta con sé (sì, lo ammetto, più volte mi è scesa qualche lacrima xD)
Parte del merito è giusto attribuirlo anche alla scelta dei colori dai toni freddi, i quali già di per sé conferiscono all'opera un'aria malinconica.
Non solo in ogni fotogramma possiamo trovare un'atmosfera dalle venature azzurre, ma è sempre presente anche un oggetto o un indumento colorato con queste tinte, come le lenzuola celesti, che portano con loro le eccitanti avventure di Brandon e di conseguenza la tristezza del suo animo dovuto ad un vuoto interiore, la sciarpa ed il cappotto grigio, indumenti caratteristici del personaggio, il giubbotto verde, presente in una delle scene più belle e toccanti del film, la corsa piena rabbia tra le strade di New York, ed altri indumenti vari, come maglie e camicie.
A sottolineare ancora di più tutta questa atmosfera c'è anche l'uso della telecamera, che personalmente ho amato.
Ad eccezione dell'ultima e confusionaria scena di sesso in cui Brandon da tutto sé stesso come conseguenza della moltitudine di sentimenti repressi, si ha staticità per tutto il film, come se il regista volesse sottolineare il vuoto d'anima del protagonista.
Da ricordare in particolare l'appuntamento al ristorante con la collega, scena simbolo di questa staticità e dell' incapacità di Brandon di instaurare legami affettivi. Molto toccante.
Il finale è a un po' a libera interpretazione, personalmente credo si possa anche riagganciare all'inizio del film, creando così un continuo circolo vizioso, proprio come la vita di Brandon: tristezza, monotonia, sesso e via di nuovo.

Sinceramente non mi aspettavo un film del genere, tanto meno che mi piacesse così tanto e mi lasciasse turbata, mi ha dato molto da pensare.
Una seconda (e magari anche terza) visione in futuro non gliela nega nessuno

alla Moore!!